Eccomi qui a cominciare una nuova avventura.

IBSE e dintorni vuole essere un luogo dove fare due chiacchiere tra amici sulle incredibili occasioni di apprendimento significativo che l’Inquiry-Based Science Education (IBSE) offre a studenti di qualsiasi età, ma anche sulle occasioni che offre agli insegnanti stessi di riscoprire la propria passione per l’insegnamento delle scienze.

Come si fa tra nuovi amici, voglio iniziare la nostra chiacchierata raccontandovi un po’ di me e della mia storia con l’IBSE.

In questi ultimi anni ho passato molto tempo studiando per cercare di capire come un approccio così complesso, pieno di sfumature, potesse essere introdotto nella scuola italiana, ancora così lontana da una didattica realmente centrata sullo studente.

Ho incontrato l’IBSE, anzi l’Inquiry-Based Learning, parecchi anni fa, quando in Italia era ancora sconosciuto ai più. Come molti insegnanti che, come me, amano il loro mestiere, durante l’estate ho l’abitudine di frequentare corsi di aggiornamento, per lo più online, ed è stato proprio così che ho incontrato l’inquiry per la prima volta.

È stato molto tempo fa, durante un corso che riguardava la sicurezza alimentare, organizzato dalla Food and Drug Administration americana. Ricordo ancora i buffi video del Dottor X abbinati ai materiali didattici. Non erano online, come adesso, ma in VHS e questo, di per sé, vi dà un’idea di quanto tempo sia passato da allora.

La cosa davvero incredibile per me, che avevo preparato la prova pratica del concorso ordinario studiando sui libri perché nelle scuole dove avevo insegnato fino ad allora praticamente un laboratorio non l’avevano mai visto, era che insieme ai materiali da studiare avevo dovuto ordinare un piccolo kit per fare “esperimenti” di microbiologia. Proprio così, esperimenti di microbiologia, con tanto di capsule Petri, nella cucina di casa mia!

Mi sembrava davvero incredibile, ma la cosa più strana e, al contempo, interessante era che le attività erano organizzate in 5 fasi, ciascuna delle quali riassunta con una parola che cominciava per E, e avevano anche la strana caratteristica di far cominciare le attività del corso dall’esplorazione sperimentale, con delle investigazioni, e non dallo studio teorico. Strano, no?

Questa è stata la prima volta che ho incontrato l’Inquiry-Based Learning e il Learning Cycle delle 5E, anche se, devo ammetterlo, in quel momento non avevo veramente capito il senso di ciò che stavo facendo.

Il corso dava per scontato che io sapessi bene di che si trattava e tra i materiali c’era solo una sintetica paginetta che richiamava le caratteristiche essenziali di ciascuna fase, di ciascuna E, dell’approccio didattico, ma niente di più.

Negli anni ho continuato ad esplorare la questione attraverso i corsi dell’American Natural History Museum, la cui versione “free”, ma più breve, è ora disponibile su Coursera MOOCs. I corsi completi (a pagamento) prevedono mediamente sei settimane di studio e la realizzazione di un “final project”, un percorso didattico, naturalmente inquiry-based, sui temi affrontati.

Ancora una volta il massimo di spiegazione riguardo l’inquiry si risolveva in una paginetta riassuntiva che dava per scontata la conoscenza/comprensione dell’approccio.

Per quanto cercassi di documentarmi e di capire non trovavo nulla e mi ricordo bene le difficoltà incontrate nel progettare queste attività, e non solo per via della lingua “ostile”. Nella mia testa sembrava tutto molto chiaro: spiego per bene le questioni, faccio vedere presentazioni, animazioni, video, dulcis in fundo, li porto in laboratorio e… voilà, il gioco è fatto: ecco una bella e frizzante unità didattica che piacerà sicuramente molto ai miei ragazzi. Facile, no?

Ricordo ancora bene però la riposta della docente del primo corso che ho frequentato: “tutto davvero bello e interessante (diplomatica!), però non capisco una cosa: perché metti le attività sperimentali, le investigazioni, alla fine? È proprio da lì che invece dovresti cominciare”.

Cominciare con il laboratorio? Investigazioni? Nel manuale del bravo docente di scienze che mi ero sempre immaginata (visto che la formazione in ingresso ai miei tempi non era prevista) le cose non andavano mai in questo modo.

È proprio da questa prospettiva ribaltata che è cominciato il mio viaggio nell’inquiry e questo interesse mi ha portato parecchi anni dopo a tentare il concorso per il dottorato con un progetto di ricerca sull’Inquiry-Based Learning, di recente ribattezzato IBSE in Europa. La realizzazione di questo sogno mi ha permesso di studiare finalmente sul serio e, spero, di capire qualcosa di più.

Ciò che, però, mi è mancato molto nei tre anni di dottorato sono stati i ragazzi. Ho passato mesi e mesi a progettare attività, a discuterne con altri docenti, le ho viste sperimentate da altri, ma solo ora che vado in classe ogni giorno ho capito quanto sia importante, stimolante, anche se profondamente difficile, introdurre questo approccio nella nostra scuola.

L’IBSE è una vera rivoluzione per la scuola italiana. Trasformare la nostra didattica è talmente difficile e richiede talmente tanti sforzi che spesso, da soli, ci si scoraggia e si resta, anche se di malavoglia, inchiodati nelle prassi didattiche di sempre.

Non posso negarlo: è difficile.

Richiede tantissimo lavoro in più a casa per trasformare, riadattare, reinventare le nostre migliori attività, soprattutto se si è soli e non si ha la fortuna di potersi confrontare e sostenere a vicenda con i colleghi.

È difficile anche perché, all’inizio, ci fa sentire profondamente a disagio: ciò che facciamo è talmente diverso dalla didattica tradizionale che ci sentiamo quasi in dovere di giustificarci con i ragazzi affinché non pensino che non siamo buoni insegnanti solo perché non maciniamo pagine del libro di testo come fanno tutti gli altri.

È difficile perché essere un facilitatore di apprendimento e non più colui/colei che trasmette la sua “sapienza” agli studenti è strano, non lo sappiamo fare, non ce l’ha insegnato nessuno e nelle scarpe nuove, si sa, all’inizio i piedi stanno sempre un po’ stretti.

È difficile, lo so, ma si può fare.

Ecco, quindi, il senso di questo blog. Vorrei che fosse come una piazza, in cui incontrarci e discutere per crescere insieme.

Nelle prossime settimane condividerò con voi esempi, riflessioni, spunti sull’IBSE. Se vi va, possiamo discuterne insieme.

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