Ho appesa alla parete una vecchia foto, con un angolo strappato, tenuta insieme dal nastro adesivo. Raffigura una donna che non ho mai conosciuto. Guarda dritto nell’obbiettivo e sorride, le mani sui fianchi fasciati dal vestito della festa, stirato a puntino. Le labbra sono dipinte di rosso vivo. È la fine degli anni Quaranta e la donna non ha nemmeno trent’anni. La pelle è liscia e ambrata, gli occhi allegri e ancora pieni di gioventù. Non sa che dentro di lei sta crescendo il cancro, un tumore che da lì a poco renderà orfani cinque bambini e cambierà la storia della medicina. Una scritta sotto la foto la identifica come << Henrietta Lacks, o Helen Lane, o Helen Larson>>. Nessuno sa chi abbia scattato la foto, eppure circola in centinaia di copie, stampata su riviste scientifiche e testi universitari, riprodotta in rete, appesa alle pareti dei laboratori. In genere la si identifica come Helen Lane; spesso però la donna non ha un nome ma solo una sigla: HeLa, il codice attribuito alla prime cellule umane immortali. Sono le sue cellule, prelevate dalla sua cervice uterina poco prima che morisse. Il suo vero nome è Henrietta Lacks.

Rebecca Skloot, La vita immortale di Henrietta Lacks, Adelphi

Henrietta_Lacks_(1920-1951)

La storia di Henrietta Lacks rappresenta un momento straordinario, ma al contempo vergognoso, della storia della ricerca medica.

Il 29 gennaio 1951, una giovane donna di 31 anni, madre di cinque figli, scende dall’auto guidata dal marito, David Lacks, davanti al Johns Hopkins Hospital di Baltimora, nel Maryland, USA. Piove e la donna entra di corsa nell’edificio. Si dirige verso la sala d’attesa della clinica ginecologica e chiede di essere visitata. Non stava bene da più di un anno e, finalmente, si era decisa a farsi visitare. L’ospedale era lontano una trentina di chilometri dalla casa dei Lacks, ma erano gli anni della segregazione razziale e quello era l’unico centro nel raggio di molti chilometri che accettasse pazienti neri. Nonostante ciò, anche al John Hopkins, bianchi e neri erano tenuti separati. Per i colored c’erano reparti apposta e tutto era doppio, fontanelle dell’acqua comprese.

Fu visitata dal medico di turno, il dottor Howard Jones, che individuò una massa cancerosa violacea nella cervice uterina. Il medico prelevò un pezzetino di tessuto e inviò il campione al laboratorio di anatomia patologica per stabilire se le cellule fossero o meno cancerose. I risultati del laboratorio non lasciarono dubbi: carcinoma a cellule squamose della cervice uterina, stadio I.

La diagnosi del carcinoma era possibile solo da pochi anni, ossia da quando Georgios Papanicolaou pubblicò, nel 1941, i risultati di una ricerca in cui descriveva il metodo oggi noto come Pap test, ossia un prelievo di cellule della cervice uterina che vengono poi esaminate al microscopio alla ricerca di cellule cancerose. Con questo esame era, ed è, possibile scoprire le cellule precancerose e intervenire in tempo, all’epoca con una isterectomia. In quel periodo, più di quindicimila donne americane morivano ogni anno a causa di questa malattia sia perché molte donne non si sottoponevano al test, sia perché non tutti i medici erano in grado di interpretarne correttamente i risultati.

Henrietta fu curata con una terapia a base di radio. Nella sala operatoria riservata ai colored, Henrietta venne anestetizzata. Senza che le fosse chiesto il permesso, le vennero asportati due frammenti di tessuto grandi come monetine, uno dalla zona tumorale e uno da una parte sana, poi fu sottoposta alla terapia che consisteva nell’applicazione di provette piene di radio che venivano cucite alle pareti dell’utero.

Mentre la paziente ignara veniva riportata in corsia, i due campioni di tessuto asportati vennero inviati al laboratorio del Dott. George Gey che, insieme alla moglie Margaret, lavorava da trent’anni con le cellule cancerose cercando di farle riprodurre in vitro, sperando di far progredire le ricerche sulle origini e sulla cura del cancro, anche se, fino ad allora, senza successo.

A quell’epoca, non si conoscevano con precisione le sostanze nutritive indispensabili alla crescita delle cellule, né con quali modalità andassero somministrate.

I terreni di coltura sembravano pozioni da streghe:

contenevano plasma di pollo, feti di vitello omogeneizzati, sangue del cordone ombelicale umano e sali particolari (pag.52). 

Una volta che i campioni di tessuto arrivarono in laboratorio, un’assistente del Dott. Gey, Mary Kubicek,

con le pinze in una mano e il bisturi nell’altra, li suddivise accuratamente in tanti quadratini di un millimetro di lato. Aspirandoli con una pipetta, li depositò uno alla volta in varie provette, dove già erano stati inseriti dei pezzetti di sangue di pollo coagulato. Quindi le riempì con il mezzo di coltura e le sigillò con tappi di gomma. Come aveva fatto quasi sempre in precedenza, etichettò i campioni con le prime due lettere del nome e del cognome del donatore. Henrietta Lacks divenne dunque <<HeLa>>, sigla che fu scritta a grandi lettere su ogni provetta (pag.54).

Dopo l’intervento per l’inserimento in utero del radio, Henrietta rimase qualche giorno in ospedale. Prima di dimetterla, le vennero rimosse le barrette di radio e le fu detto di ritornare dopo due settimane e mezzo per la seconda dose.

Nel frattempo, in laboratorio, le cellule di Henrietta stavano crescendo a velocità incredibile.

Nel giro di un giorno erano raddoppiate di numero…dopo altre ventiquatt’ore erano raddoppiate ancora. Ben presto ogni provetta ne generava quattro nuove, poi sei. Le cellule di Henrietta riempivano tutto lo spazio che veniva loro concesso…e continuarono a crescere come non mai, a centinaia, raddoppiando ogni ventiquattr’ore fino a diventare milioni… Si moltiplicavano venti volte più velocemente delle cellula sane di Henrietta, che comunque morirono dopo pochi giorni in coltura. Se adeguatamente nutrite e tenute al caldo, erano praticamente inarrestabili (pag. 57-58).

Il dott. Gey cominciò a raccontare ad alcuni colleghi di essere riuscito a coltivare in laboratorio cellule umane apparentemente “immortali”. Naturalmente cominciarono ad arrivare richieste di campioni di queste cellule e Gey cominciò a distribuirle ad altri laboratori.

George_Gey

Nel frattempo Henrietta non sapeva che le sue cellule si stessero riproducendo in laboratorio. Dopo essere stata dimessa dall’ospedale era tornata alla sua vita di sempre. Il trattamento con il radio aveva fatto scomparire completamente il tumore. Le fu detto di continuare, a scopo precauzionale, la radioterapia ma le cose, in realtà, non migliorarono affatto.

Dopo aver scoperto che la radioterapia l’aveva resa sterile (nessuno l’aveva informata prima di cominciare le cure), i sintomi peggiorarono.

Appena tre settimane dopo il primo trattamento di radioterapia di Henrietta, il Dott. Gey partecipò ad una trasmissione televisiva dedicata al suo lavoro, dove mostrò addirittura un campione di cellule di Henrietta, naturalmente ancora del tutto ignara.

Durante la trasmissione, Gey non fece mai il nome di Henrietta né raccontò la storia di quelle cellule.

Gey diffuse le cellule di Henrietta in tutto il mondo.

Le cellule HeLa arrivarono in Texas e in India, a New Yorl e ad Amsterdam, e in molti altri posti. Chi riceveva un campione lo faceva girare ai colleghi, creando così un effetto a catena che portò le cellule di Henrietta fino alle montagne del Cile, nelle bisacce dei muli da soma (pag.77).

Nel frattempo Henrietta peggiorava. Raccontò più volte ai medici che si sentiva il cancro muovere dentro ma questi continuarono a scrivere nella cartella clinica di non aver riscontrato alcun segno di recidiva nonostante la paziente lamentasse un continuo malessere.

I dolori continuarono ad aumentare. Non riusciva più a urinare, ma i medici le posizionarono un catetere e la rimandarono a casa. Quando si fece nuovamente visitare, i medici le fecero le lastre e questa volta la rimandarono a casa dopo averla definita “inoperabile”. Henrietta continuò a peggiorare e fu ricoverata molte altre volte, terribilmente sofferente.

Non ci sono testimonianze scritte del fatto che George Gey abbia visitato Henrietta in ospedale o le abbia fatto sapere in qualche modo cosa fosse successo alle sue cellule.

Una microbiologa che lavorava con Gey, riferì, però, che lui stesso le raccontò di essersi avvicinato al letto di Henrietta e di averle sussurrato:

“Le tue cellule ti renderanno immortale”. Le spiegò che quel campione avrebbe salvato innumerevoli vite. Lei sorrise. E gli disse che era felice di sapere che tutto quel dolore sarebbe servito a qualcosa (pag.87).

Henrietta morì il 4 ottobre 1951.

Da allora, molti scienziati iniziarono nuove ricerche studiando in che modo le cellule umane si dividono e le differenze tra le cellule cancerose e quelle normali. Venivano continuamente sviluppati nuovi tipi di coltura cellulare e le nuove linee cellulari venivano inviate ai laboratori di tutto il mondo.

All’inizio degli anni Settanta, però, ci si accorse che quelle che sembravano colture di tipi cellulari diversi, erano tutte in realtà cellule HeLa. A causa di una contaminazione dei campioni, i ricercatori di tutto il mondo credevano di essere riusciti a far crescere e a studiare cellule tumorali di tipo diverso (ad esempio della mammella, renali o della prostata) mentre in realtà avevano sempre utilizzato cellule della cervice uterina di Henrietta Lacks. Per anni si era ritenuto che tutti i tipi di cellule tumorali avessero bisogno degli stessi nutrienti per crescere e che avessero tutte cromosomi anomali.

Con sgomento scoprirono, invece, che le cose non stavano così e che le caratteristiche delle cellule HeLa non erano presenti in tutti i tipi di cellule tumorali.

Le cellule HeLa sopravvivono ancora oggi e continuano a dividersi giorno dopo giorno.

Negli anni Cinquanta sono state utilizzate per sviluppare il vaccino contro la poliomielite e vengono tutt’ora utilizzate nelle biotecnologie per la produzione di alcune proteine.

La cosa più incredibile è però il fatto che la famiglia non seppe nulle delle cellule di Henrietta fino a quando, diversi decenni dopo la sua morte, non sono stati contattati da scienziati che cercavano campioni di sangue che avrebbero potuto aiutarli ad avere maggiori informazioni sulle cellule HeLa. La famiglia, povera e senza istruzione, pensò, invece, che volessero fare dei test per vedere se anche loro sarebbero morti di cancro.

Parla Deborah Lacks

Quando la gente me lo chiede… io dico che sì, mia madre si chiamava Henrietta Lacks, è morta nel 1951, al John Hopkins hanno preso le sue cellule e ‘ste cellule sono ancora vive, si moltiplicano, crescono e se non si tengono nel congelatore se ne vanno dappertutto. Gli scienziati le chiamano HeLa, e lei è in tutto il mondo, negli ospedali, nei computer, in internet, dappertutto. Tutte le volte che vado da un dottore per i controlli dico che HeLa era mia madre. Loro sono tutti entusiasti, e mi dicono che le sue cellule hanno aiutato a fare le mie medicine per la pressione e le mie pillole per la depressione, e che tutte queste scoperte importanti della scienza sono successe grazie a lei. Ma non mi spiegano mai niente, solo cose del tipo sua madre è andata sulla Luna, è stata nelle bombe nucleari, ha fabbricato il vaccino della polio. Davvero non so come ha fatto tutto questo, ma in un certo senso sono contenta, perché significa che sta aiutando un mucchio di gente. Penso che le farebbe piacere. Però ho sempre pensato: che strano, se le cellule di nostra madre hanno fatto tanto per la medicina, com’è che la sua famiglia non può permettersi le visite mediche? Non ha proprio senso. C’è gente che ha fatto un sacco di soldi grazie alla mamma e noi non sapevamo neppure che le prendevano le cellule, e oggi non vediamo un centesimo. Prima mi arrabbiavo così tanto se ci pensavo, mi faceva star male, e dovevo prendere delle pillole. ma adesso non ho più la forza di lottare. Voglio solo sapere chi era mia madre (pag.23).

Per saperne di più:

Sito web di Rebecca Skloot

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