Lo so può sembrare un paradosso, sono una biologa e un’insegnante di scienze ma io la natura della scienza ho cominciato a comprenderla veramente solo da quando l’IBSE è entrato nel mio modo di vedere l’insegnamento. Anzi, a dirla tutta, so anche qual è stato il momento esatto in cui ho cominciato a capire che in tanti anni, in realtà, non avevo ancora capito niente: era il 2012, ero a Dublino  alla Establish and SMEC Conference e stavo partecipando ad un workshop proprio sulla natura della scienza con William McComas.

Da allora, riconosco di aver fatto un po’ di strada, diciamo che sono migliorata, e non perdo occasione per far esplorare la scienza ai miei ragazzi con gli occhi di chi la scienza l’ha fatta o la fa.

A rischio di apparire monotona (giuro che non sono sponsorizzata!), voglio parlarvi ancora una volta del National Center For Case Study Teaching in Science (NCCSTS). Qui potete trovare una grande varietà di  casi di studio da usare tal quali (traducendoli in italiano o usandoli direttamente in inglese con i ragazzi più grandi) o semplificandoli un po’. Il punto di forza dell’NCCSTS è che propone attività con cui gli studenti possono esplorare fenomeni di varia natura attraverso casi di studio reali, che li incuriosiscono e coinvolgono anche a livello personale.

La biochimica che si fa nelle classi quinte dei licei scientifici non è una passeggiata per i ragazzi. A seconda di come gliela proponi, però, può diventare un faticoso, quanto inutile, esercizio di memoria o una bella occasione per guardare a ciò che siamo e a come funzionioniamo con gli occhi dello stupore e della meraviglia. Esagerata? Forse, ma ogni volta che rifletto, ad esempio, su come fanno le cellule a fare quello che fanno e su come facciamo a saperlo, io guardo il prodotto della ricerca scientifica come potrei guardare un’opera d’arte: con trasporto, meraviglia e riconoscenza.

Il caso di studio che sto utilizzando in questi giorni si intitola “Come creare ATP: tre esperimenti classici in biologia” scritto da Monica L. Tischler del Dipartimento di Scienze Biologiche della Benedictine University di Lisle (USA).

Per come è organizzato, questo caso di studio è anche perfetto per chi come me è un’insegnante sempre più Flipped (anzi Flipped IBSE in realtà).

Il punto di forza di questo caso di studio è che i ragazzi hanno la, sempre più rara, occasione di interagire con i dati che provengono da fonti primarie della letteratura scientifica imparando in che modo gli scienziati hanno determinato che la chemiosmosi fosse respondabile della produzione di ATP attraverso la membrana mitocondriale.

In particolare,vengono utilizzati parti di tre articoli originali che sono stati determinanti negli anni ’50, ’60 e ’70 per la comprensione del meccanismo della sintesi di ATP.

Poichè le attività sono organizzate in modo da poter lavorare in modalità flipped, l’autrice  ha realizzato anche dei brevi video di spiegazione, prerequisiti necessari per poter lavorare sui vari articoli. Ogni video è corredato da brevi domande per controllare la comprensione dei contenuti.

Il caso di studio è scaricabile gratuitamente sul sito ma io voglio raccontarvi come lo sto utilizzando in classe. Io ci sto lavorando con una classe quinta di liceo scientifico per cui useremo il testo direttamente in inglese, ma se foste interessati ad una versione tradotta in italiano potete scrivermi.

Prima di iniziare questo caso di studio, gli studenti dovrebbero conoscere:

  • gli organuli delle cellule eucariotiche
  • la struttura della membrana e le funzioni e le proprietà delle proteine di membrana
  • le modalità di trasporto attraverso la membrana e il concetto di gradiente di concentrazione
  • l’ ATP e la sua funzione all’interno delle cellule
  • gli enzimi
  • la fosforilazione a livello del substrato

La prima parte, da svolgere a casa, prevede la lettura di una introduzione al caso di studio. Io ho deciso di lavorarci dopo aver spiegato glicolisi e ciclo di Krebs per cui il primo e il secondo video di spiegazione proposti dall’autrice a supporto dell’introduzione sono stati soprattutto un modo per cominciare ad entrare nella questione dal punto di vista linguistico.

Introduzione

Per prima cosa i ragazzi apprenderanno quale fosse l’approccio sperimentale dei biochimici nei primi anni del secolo scorso, definito approccio convenzionale o ortodosso, in cui le componenti di un sistema da studiare (enzima, substrato, cofattori) venivano isolate e poi ricostituite per studiarne le reazioni in vitro. Questo è stato un approccio molto efficace che è stato usato per comprendere la maggior parte delle vie metaboliche che conosciamo oggi.

Poi, scoprono che nei primi anni ’40 del Novecento gli scienziati già sapevano che nella cellula l’energia viene accumulata nella molecola di ATP e ripassano il ruolo di questa molecola nel metabolismo cellulare.

Anche se negli anni ’50 usando l’approccio sperimentale convenzionale è stato “decifrato” anche il ciclo di Krebs, ciò che era rimasto ancora da “decifrare” era in che modo nella cellula si formasse così tanto ATP in presenza di ossigeno ma non in sua assenza. Gli scienziati conoscevano i trasportatori di elettroni (NAD+ e FAD) e sapevano che questi coenzimi trasferiscono elettroni ad alta energia a una serie di molecole presenti nella membrana  interna dei mitocondri note come catena di trasporto degli elettroni. In pratica avevano compreso che quando nella cellula è presente l’ossigeno, alla fine della catena questo accetta elettroni e si crea ATP, ma non avevano idea del meccanismo con cui si formasse l’ATP. Si misero, quindi, alla ricerca di  intermedi di reazione ed enzimi che catalizzassero le reazioni.

La ricerca ha dedicato molte energie alla gestione delle difficoltà tecniche che si incontravano quando si cercava di isolare preparazioni di enzimi e ci vollero più di dieci anni per cominciare ad accettare il fatto che l’approccio convenzionale potesse non essere la strada giusta per risolvere questo problema.

Nel 1961, un biochimico inglese, il Dr. Peter Mitchell, dell’Università di Edimburgo, propose un meccanismo che accoppiava il trasferimento di elettroni alla sintesi di ATP. Mitchell suggerì che il flusso di elettroni nella catena respiratoria nelle membrane dei cloroplasti e dei mitocondri trasferisse protoni (H+) contro gradiente di concentrazione per creare un gradiente elettrochimico. Egli ipotizzò che questo gradiente elettrochimico potesse guidare la sintesi dell’ATP attraverso un processo che fu chiamato chemiosmosi. La maggior parte dei biochimici stavano ancora cercando degli intermedi di reazione nella via di formazione dell’ATP e non fu facile per loro mettere insieme i pezzi necessari per accettare la nuova teoria chemiosmotica per la produzione dell’ATP.

Nel 1978, il Dr. Mitchell vinse il Premio Nobel per la scoperta del processo chemiosmotico per la sintesi dell’ATP, che costituì la base per la comprensione dei reali processi della fosforilazione ossidativa al tempo ancora sconosciuti.

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Nel 1979, quasi due decadi dopo, Mitchell rifletté sul suo lavoro pionieristico affermando che nel 1961 c’erano tre domande che avevano ancora bisogno di una risposta prima che la sua ipotesi sulle catene di trasporto degli elettroni sia nei mitocondri che nei cloroplasti potesse essere accettata dalla comunità scientifica: cosa sono, cosa fanno e come lo fanno.

E da qui, inizia ufficialmente il viaggio di scoperta in tre parti. Sempre per casa, per preparare l’esplorazione della prima parte attraverso l’analisi proprio dell’articolo originale di Mitchell, viene proposta la visione di un terzo video, che è una sorta di sinossi dell’articolo che esploreranno.

Parte I – Che cosa sono?

Nel suo articolo, Mitchell ipotizzò l’accoppiamento della fosforilazione al trasferimento di elettroni attraverso una membrana e parla anche di quanto sia diverso dall’approccio “ortodosso” del tempo. Mitchell suggerì che in qualche modo i componenti coinvolti nella sintesi dell’ATP dovessero essere disposti in modo preciso all’interno della membrana per poter trasferire elettroni e protoni attraverso la membrana.

Mitchell presentò calcoli teorici che mostravano come un sistema reversibile ATPasi posizionato in una membrana fosse in grado di separare cariche all’esterno e all’interno della membrana. Sulla base dei suoi calcoli, arrivò a creare un diagramma che  i ragazzi dovranno analizzare rispondendo alle domande proposte.

Mitchell sapeva che diversi inibitori metabolici sono in grado di inibire la fosforilazione ossidativa e per tentativi identificò alcuni dei componenti del suo ipotetico sistema. Arrivò anche a ipotizzare che una flavoproteina, un chinone, e un citocromo fossero elementi importanti nella fosforilazione ossidativa. Sulla base delle conoscenze del tempo, Mitchell collocò queste molecole all’interno o vicino alla membrana del mitocondrio.

I ragazzi dovranno analizzare anche un’altro diagramma presente nell’articolo di Mitchell rispondo ad altre domande che li guideranno nella comprensione della ricerca.

La prima parte dell’attività termina con le parole di Mitchell che conclude il suo articolo affermando:

L’idea alla base dell’ipotesi presentata qui è che se il processo che noi chiamiamo metabolismo e il trasporto rappresentano eventi in una sequenza, non solo il metabolismo può essere la causa del trasporto ma anche il trasporto può essere la causa del metabolismo.”

Mitchell era  consapevole che la sua proposta fosse contraria all’approccio biochimico convenzionale. Naturalmente, ci vollero molti altri esperimenti per spingere la comunità scientifica ad accettare la sua ipotesi.

Ogni parte richiede circa 50 minuti di lavoro per cui alla fine della prima attività si può guardare insieme il quarto video propedeutico alla seconda parte, che dura pochi minuti.

Parte II – Perchè lo fanno?

Nel 1966, alla John Hopkins University, Andre Tridon Jagendorf ed Ernest Uribe fornirono prove dirette che i cloroplasti sintetizzano ATP utilizzando il meccanismo chemiosmotico proposto da Peter Mitchell. I due ricercatori riuscirono a produrre ATP in un sistema sperimentale costituito da cloroplasti di spinaci creando un gradiente di pH attraverso la membrana dei tilacoidi dei cloroplasti al buio, modificando il pH di soluzioni di membrane di tilacoidi e permettendo loro di equilibrarsi. Questi esperimenti mostrarono che differenze di pH (e quindi di cariche) attraverso le membrane potessero portare alla sintesi dell’ATP.

Jagendorf e Uribe isolarono i cloroplasti dagli spinaci e li mantennero al buio in modo che nessuna molecola di ATP si formasse grazie alla luce. Misero, quindi, i cloroplasti isolati in una serie di soluzioni con diversi valori di pH acido e poi aumentarono il pH della soluzione.

A seconda del pH iniziale e finale delle soluzioni, trovarono che si formavano più o meno molecole di ATP. Ipotizzarono, quindi, che quando c’è un gradiente di carica attraverso la membrana (come il gradiente elettrochimico che si genera quando l’esterno e l’interno delle membrane sono a pH diversi) questa sia una condizione ad alta energia che può essere usata per la sintesi di ATP.

In questa seconda parte dell’attività, i ragazzi dovranno, quindi, analizzare un grafico tratto dall’articolo originale che mostra la quantità di ATP che era stata prodotta dai cloroplasti in diverse condizioni di pH iniziali e finali, per cercare di comprendere la relazione che c’è tra la differenza di pH e la produzione di ATP e se ci sia, o meno, una differenza di pH ottimale per la produzione di ATP.

La conclusione di questo articolo è che i cambiamenti di pH possono guidare l’enzima (o gli enzimi) responsabile della sintesi di ATP in assenza di qualunque altro metabolismo. Tempo dopo, altri scienziati determinarono che questo enzima era l’ATP sintasi.

Prima di affrontare la terza parte, gli studenti dovranno prepararsi attraverso un quinto e ultimo video che è una sinossi del terzo e ultimo articolo scritto da Racker e Stoeckenius nel 1974.

Parte III – Come lo fanno?

A partire dal 1974, 13 anni dopo che Mitchell ipotizzò per la prima volta la formazione dell’ATP per chemiosmosi, gli scienziati iniziarono a mettere insieme i pezzi  necessari per dimostrare la teoria. Le membrane sono molto complesse, con molte proteine nel doppio strato fosfolipidico attaccate sia alle superfici interne delle membrane che a quelle esterne.

Alla Cornell University, Efraim Racker e Walther Stoeckenius purificarono le proteine di membrana di un batterio fotosintetico viola, l’Halobacterium halobium. La membrana viola di questo organismo ha solo una proteina, la batteriorodopsina (a quel tempo chiamata proteina viola), che risponde alla luce trasportando protoni. I due scienziati fecero una preparazione di lipidi di soia e vi inserirono la proteina viola creando vescicole artificiali di membrana.

Quando le vescicole di membrana ricevono luce vengono trasportati dei protoni. Quando, invece, le vescicole di membrana non ricevono luce i protoni non vengono trasportati. La concentrazione di protoni nel medium fu misurata in termini di cambiamento di pH.

Ancora una volta i ragazzi dovranno analizzare una immagine e un grafico da cui i dovranno cercare di capire se la a quantità di batteriorodopsina influenzi o meno la quantità di protoni che vengono trasportati e perchè i due scienziati fecero questo esperimento.

Racker e Stoeckenius fecero poi un passo successivo e incorporarono nelle membrane artificiali proteine di mitocondri di cuore bovino. Oggi sappiamo che quelle proteine erano enzimi ATP sintasi. Racker e Stoeckenius furono così in grado di indentificare la formazione di ATP in presenza di luce.

Quando aggiunsero inibitori della fosforilazione ossidativa, non si formò nessuna molecola di ATP, nè se ne formò nelle membrane artificiali senza rodopsina. Ai ragazzi viene, quindi, chiesto di riflettere sul perchè fosse essenziale inserire entrambe le proteine nella membrana.

Questo sistema modello fornì le evidenze definitive che la forza motrice protonica generata dalle reazioni alla luce della batteriorodopsina avesse guidato l’ATP sintasi generando energia cellulare.

A questo punto, spiegherò la versione “moderna” della fosforilazione ossidativa e faremo la quarta e ultima parte dell’attività in cui gli studenti metteranno a confronto il lavoro originale di Mitchell con l’attuale comprensione della chemiosmosi rispondendo a una serie di domande su citocromi, flavoproteine, chinone, formazione di ATP, fonti di elettroni e disposizione spaziale delle molecole della catena di trasporto degli elettroni.

Lo so cosa starete pensando a questo punto: attività complessa e lunga, ma ne vale la pena? Per me assolutamente sì.

Ogni tanto, soprattutto quando si trattano argomenti complessi come questi, è fondamentale dedicare del tempo a come tali conoscenze scientifiche vengano prodotte, soprattutto quando si ha a che fare con ragazzi il cui sguardo è già volto verso il futuro alla ricerca di una vocazione universitaria da seguire.

E voi, che ne pensate?

 

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