Quale busta vuoi? La uno, la due o la tre?

Lo so, citare la frase “celebre” che pronunciava Mike Buongiorno nel Rischiatutto è banale, per niente originale, ma è la prima cosa che è venuta in mente a me e, ne sono certa, a tutti quelli che negli anni ’70 erano bambini e si divertivano a guardare il telequiz del giovedì sera provando a rispondere alle domande che il ben noto conduttore televisivo poneva al partecipante più bravo della serata.

In effetti, però, siamo nel 2019 e davanti a noi, bambini ormai “cresciutelli”, non c’è uno schermo televisivo ma una serie di banchi disposti a ferro di cavallo, dove il “concorrente” è un ragazzino di 19 anni, bianco dalla paura, con le mani tremanti, costretto ad affidare alla “sorte” il suo destino/percorso d’esame.

 

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Sto parlando del primo candidato degli Esami di Stato 2019. Nonostante il nostro chiocciare materno (Stai tranquillo! Hai tutto il tempo. Non agitarti!) le sue mani tremano, la busta gialla non collabora e non si apre senza strapparsi. Il ragazzo, terrorizzato, allora si blocca e noi scherziamo un po’ per rassicurarlo: “Tranquillo! Tra le competenze che devi mostrare alla Commissione non c’è l’apertura perfetta della busta.” Una risata e… si comincia!

Ecco come sono iniziati i colloqui nella scuola dove mi trovavo io, con questa sorta di patetico rituale, di “buongiorniana” memoria (perdonatemi, non ho resistito!), che aggiunge solo ulteriore stress a ragazzi costretti a vivere in un mondo in cui ormai sinonimo di cultura, serietà e rigore è “Rischiatutto”o, per i più giovani “L’eredità”.

Potrei andare avanti così, lamentandomi per tutto ciò che nel mondo della scuola viene costantemente peggiorato, impoverito, mortificato, ma… non lo farò. Preferisco confrontarmi con voi provando a riflettere insieme sulle criticità ma anche sulle opportunità.

Come sicuramente saprete, da quest’anno ci sono solo due prove scritte, niente tesina ma una busta contenente materiali che forniscono uno spunto per l’avvio del colloquio, si parla di alternanza (scusate… PCTO) e di cittadinanza e costituzione.

Nelle FAQ, pubblicate poco prima dell’inizio del nuovo esame, il MIUR ci ha fatto sapere che per introdurre un percorso integrato e trasversale che permetta di affrontare lo specifico contenuto delle discipline all’interno della busta avremmo potuto mettere un testo poetico o in prosa, un quadro, una fotografia, un’immagine tratta da libri, un articolo di giornale, una tabella con dei dati da commentare, un grafico, uno spunto progettuale, una situazione problematica da affrontare.

Il tempo che abbiamo avuto per capire cosa avremmo dovuto fare è stato davvero poco e abbiamo aspettato invano gli “esempi significativi delle tipologie di materiali simili a quelli che potrebbero essere proposti all’orale dalle singole commissioni che dovranno tenere conto dello specifico percorso della classe” promessi dal Ministero.

Quindi al momento fatidico in cui abbiamo dovuto preparare (nel mio caso) ben 59 buste ci siamo confrontati a lungo per capire come fare al meglio ciò che ci veniva chiesto ma abbiamo fatto una gran fatica per trovare spunti che potessero essere oggetto di una bella discussione in un percorso davvero integrato e trasversale.

È stato un po’ come dover montare un intero arredamento IKEA senza averlo mai visto prima e senza libretto di istruzioni! Ma siamo forti e niente ci spaventa. In fondo noi docenti “abbiamo visto cose che voi umani non potreste immaginarvi!”.

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Quindi, cosa c’era nelle buste?

Ci abbiamo messo poesie, lettere dal fronte, immagini di Premi Nobel per scoperte scientifiche, quadri, locandine di film, fotografie di fenomeni naturali, grafici, articoli di giornale… Insomma tutto ciò che abbiamo potuto inventarci, facendo tra noi una sorta di “tesina alla rovescia” in cui abbiamo provato a immaginare quali collegamenti il nostro fortunato candidato avrebbe potuto fare a partire dalle idee che ci erano venute in mente.

In fondo, mi è quasi piaciuto. Dal confronto con i colleghi di discipline diverse ho scoperto cose che non sapevo e quella dell’imparare è sempre una gran bella sensazione.

Ok, com’è andata?

Il primo giorno erano tremanti e disorientati. Gli abbiamo fatto aprire le buste, fornito carta e penna per buttare giù qualche idea e gli abbiamo lasciato un po’ di tempo per riflettere mentre si cercava di sopravvivere ai 40 gradi della Pianura Padana. L’aula era piena: tutti volevano scoprire cosa sarebbe successo, come funzionava la faccenda, volevano “studiare” il nemico.

I primissimi giorni mi è quasi piaciuto. C’era una sincera volontà da parte dei ragazzi di fare il meglio possibile. Certo, in un percorso del genere, i deboli restano deboli e forse la loro fragilità diventa ancora più evidente, ma ci sono stati alcuni ragazzi brillanti che hanno saputo muoversi portando anche contributi personali e originali. Ma l’illusione che la cosa potesse funzionare davvero è durata poco.

Col passare dei giorni ci siamo resi conto che i ragazzi meno preparati si erano fatti astuti trovando sempre la quadratura del cerchio. Come in quel video esilarante che gira in questi giorni sui social in cui lo studente trova la foto di Hitler nella busta e lo collega allo zio Mario appassionato di floricoltura e di azalee. La Commissione allora cerca di mantenere il punto e gli chiede di parlare di Montale e lui risponde: “Montale… Montale scriveva sempre sul balcone accanto a una bella pianta di azalee, ne parlo?

Insomma, indipendentemente da ciò che trovavano nella busta quelli che non sapevano cosa dire alla fine ci parlavano sempre delle loro azalee: Freud, Svevo, Joyce, biotecnologie, motore elettrico e magnetismo in un loop senza fine. Un argomento per commissario e il colloquio è servito.

Ma è proprio così che doveva andare?

Non fraintendetemi, non tutti i ragazzi hanno fatto così ma l’abbiamo visto accadere tante, troppe volte.

La colpa di chi è?

Potremmo cominciare a dire che “non ci sono più gli studenti di una volta”, che tutto è irrimediabilmente compromesso dalla TV, dal cellulare sempre in mano, dai social…

Cui prodest?

Visto che lamentarsi del caldo non solo non ci fa stare meglio ma forse addirittura ci fa soffrire di più, proviamo a essere un po’ più costruttivi.

Le buste

Sicuramente da eliminare. Se togliessimo il “rito” della scelta della busta e partissimo comunque da uno stimolo proposto dalla Commissione (e non da una quasi sempre inutile tesina) si potrebbe capire meglio come valorizzare i ragazzi facendo emergere i loro talenti, quando ci sono, ed evitandoci la presa in giro di sentir parlare di azalee partendo da una foto di Hitler quando non ci sono.

I “programmi”

Tutti noi, ne sono più che certa, abbiamo lavorato come matti per un intero anno scolastico per assicurarci di coprire quanti più argomenti possibile e nel modo più esaustivo. Abbiamo cercato di prepararli al meglio, abbiamo dato l’anima ma le cose non hanno portato ai risultati sperati, non lo fanno mai.

I ragazzi non sono in grado di “unire i puntini” e ricostruire il disegno nascosto. Quello lo vediamo solo noi!

Gli abbiamo riempito la testa di nozioni ma non sanno bene come usarle. Ciò che sta scritto su un libro di testo non è connesso alla loro realtà. Il sapere faticosamente acquisito non gli permette di decifrarla e così com’è diventa tutto lavoro inutile. Pensare di prepararli a ragionare facendogli imparare i nostri ragionamenti non serve a niente.

Voglia di cambiare

Dopo questa esperienza, questa ennesima riprova che la didattica trasmissiva NON funziona, se non negli studenti eccellenti per conto loro, sento ancora più forte il desiderio di cambiare il mio modo di lavorare anche e soprattutto in quinta.

Quando ho cominciato a parlare di IBSE nelle scuole, mi sono sentita dire molto spesso che non si poteva cambiare modo di lavorare in prima superiore quando i ragazzi alle medie avevano già lavorato in modo trasmissivo per tre anni. Totalmente in disaccordo con questa idea ho cominciato piano piano a modificare almeno il mio modo di lavorare, a rivoluzionare, capovolgere, ribaltare la prospettiva non senza difficoltà visto che in due/tre ore alla settimana i miracoli non si fanno (almeno non io!).

Sono passati alcuni anni e i miei ragazzi sono arrivati in quinta e, lo confesso, qui la frenata è stata brusca anche per me. Nel nome dell’Esame di Stato si sacrificano i ragionamenti, le attività sperimentali, le innovazioni. Perchè c’è l’E-S-A-M-E!

Ma quale esame?

Ma ora basta! È arrivato, almeno per me, il momento di tagliare una volta per tutte i legami con il passato, legami che nemmeno il Ministero vuole più che manteniamo.

In questi giorni, con il ricordo degli esami ancora “bruciante”, sono andata a rileggermi le novità introdotte. Nel Documento MIUR del 22 febbraio 2018 si parla di nuovi scenari, di educazione alla cittadinanza e alla sostenibilità e degli strumenti culturali per la cittadinanza.

5.5 Il pensiero scientifico

In ambito scientifico, è fondamentale dotare gli allievi delle abilità di rilevare fenomeni; porre domande; costruire ipotesi; osservare, sperimentare e raccogliere dati; formulare ipotesi conclusive e verificarle. Ciò è indispensabile per la costruzione del pensiero logico e critico e per la capacità di leggere la realtà in modo razionale, senza pregiudizi, dogmatismi e false credenze.

Per il conseguimento di questi obiettivi è indispensabile una didattica delle scienze basata sulla sperimentazione, l’indagine, la riflessione, la contestualizzazione nell’esperienza, l’utilizzo costante della discussione e dell’argomentazione.

(…) “La ricerca sperimentale, individuale e di gruppo, rafforza nei ragazzi la fiducia nelle proprie capacità di pensiero, la disponibilità a dare e ricevere aiuto, l’imparare dagli errori propri e altrui, l’apertura ad opinioni diverse e la capacità di argomentare le proprie”.

Queste frasi trasudano “IBSE” da tutti i pori eppure molti di noi sono bloccati, parlano ancora di “programmi” da rispettare quando i programmi non esistono più e pensano che cambiare non sia né utile né possibile. Invece è possibile, anzi necessario!

In queste lunghissime tre settimane di esami ho imparato tanto, perché ho avuto modo di riflettere a lungo sui miei, i nostri errori e solo chi impara dai propri errori cresce e migliora. Non diciamo sempre così ai nostri ragazzi?

Ascoltando con mente aperta ho capito che le diverse discipline possono dialogare solo se i contenuti vengono rielaborati in una prospettiva diversa, più ampia e personale.

Certo i progetti interdisciplinari che la scuola può proporre durante l’anno possono essere utili, se non altro per mostrare esempi di possibili intrecci, ma se ciò che i ragazzi studiano rimane lontano dalla loro vita, dalla realtà di tutti i giorni, anche questi meravigliosi intrecci mostrati in progetti altrettanto meravigliosi corrono il rischio di essere “studiati” come pagine di un libro di testo.

Dobbiamo dare significato a ciò che i ragazzi studiano e lo si può fare solo dando loro maggiore responsabilità, passando a loro il timone, scendendo dalla cattedra e mettendoci al loro fianco anche in quinta!

Ci vuole coraggio, lo so, ma noi SIAMO coraggiosi! Se le cose, nonostante tutto, funzionano nella scuola è perché noi facciamo questo mestiere con passione e continuiamo a volare contro vento, senza mollare mai perché sappiamo che la scuola è importante per tutti ma per alcuni è addirittura l’ultima possibilità per una vita migliore. SIAMO bravi e capaci e possiamo farcela.

Che ne pensate?

Quali problemi avete incontrato? Che soluzioni potete ipotizzare? Raccontatevi qui!

Aspetto i vostri commenti e vi abbraccio!

 

 

 

 

 

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