Terza e ultima fase della progettazione a ritroso: pianificare le attività di istruzione.
È, finalmente, arrivato il momento di usare il learning cycle delle 5E per costruire il percorso e le esperienze di apprendimento che porteranno lo studente all’acquisizione delle competenze desiderate.
La fase di Engage è quella in cui l’insegnante introduce l’argomento che verrà trattato nelle lezioni successive attraverso attività che servono a stimolare la curiosità degli studenti, a coinvolgerli a livello personale, a generare nuove domande nella loro mente, a creare connessioni con le loro esperienze di apprendimento pregresse e a far emergere le eventuali concezioni errate.
Quando decidiamo quali attività fare in classe, è bene tener sempre presente che questa è solo la prima delle cinque fasi del learning cycle per cui è meglio non lasciarsi prendere dall’entusiasmo preparando attività meravigliose ma troppo lunghe, perché si corre il rischio di dover poi sacrificare altre cose importanti per mancanza di tempo (la coperta, si sa, è corta).
Le attività dovranno, quindi, avere una durata relativamente breve (massimo un’ora di lezione, se riuscite anche meno) ma dovranno essere coinvolgenti e stimolanti in modo da portare gli studenti a farsi domande, a chiedersi cosa succederà, a volerne sapere di più. Inoltre, se riusciamo ad agganciarli, è anche molto probabile che rimarranno coinvolti per tutto il processo di apprendimento.
Porre domande ma non dare risposte
Oltre al tempo, sempre tiranno, c’è anche un altro fattore da tenere sotto controllo nella fase di Engage. Noi insegnanti abbiamo una sorta di impostazione di default che ci spinge a voler sempre rispondere a tutte le domande che gli studenti ci pongono. Non farlo ci suscita un profondo senso di disagio, quasi non stessimo svolgendo bene il nostro lavoro.
È importante capire, però, che in questa fase non bisogna assolutamente fornire alcuna risposta, né dare definizioni formali e neppure anticipare agli studenti a quali conclusioni arriveranno nelle lezioni successive. Non è questo il momento delle risposte ed è molto importante tenerlo bene a mente!
I ragazzi dovranno affrontare le attività proposte basandosi sulle loro esperienze pregresse, su quello che sanno già (o credono di sapere). In questa fase, quindi, gli studenti non potranno consultare libri, né Internet o altre fonti di informazione e probabilmente, le prime volte, questo li intimorirà per cui dovremo anche incoraggiarli un po’ affinché superino la paura della “risposta sbagliata”.
La fase di Engage, quindi, serve a motivare gli studenti ad apprendere, ma anche ad aiutarli ad acquisire consapevolezza di ciò che sanno, scattando quasi una sorta di istantanea che indichi da dove sono partiti.
Secondo le ricerche sull’apprendimento, infatti, l’acquisizione di questa consapevolezza iniziale è fondamentale in quanto gli studenti costruiscono nuova conoscenza su quella che già possiedono. Il rischio che si corre sottovalutando questo aspetto è che gli studenti sviluppino i concetti in modo molto diverso da quello che intendeva l’insegnante (Bransford, Brown, Cocking, 1999), cosa che, a volte, può portare paradossalmente a rinforzare, anziché superare, le concezioni errate che avevano all’inizio del percorso di apprendimento.
Uno strumento semplice, ma molto efficace, per aiutare gli studenti a esprimere quello che già sanno consiste nell’incoraggiarli con domande tipo:
Che cosa succederebbe se…?
Cosa fareste se…?
Che ne pensate…?
Ma quali attività si possono fare nella fase di Engage?
Le attività di Engage possono essere domande, semplici dimostrazioni in laboratorio o eventi discrepanti, ossia eventi che presentano risultati inaspettati, controintuitivi, in contrasto cioè con quanto ci si potrebbe aspettare e che quindi genera interesse e stimola a chiedersi «Che cosa sta succedendo?» (Meyer, et al., 2012).
Certo, niente è più efficace di una dimostrazione dal vivo o di una attività manipolativa ma, come sappiamo, non sempre è possibile. Per fortuna ci sono immagini o video facilmente reperibili online che ci consentono di mostrare molti fenomeni che spesso non è possibile ricreare in classe o luoghi in cui non è possibile andare. Potremo, per esempio, partire da un video sulla duplicazione cellulare, su una frana o un terremoto, o da immagini di luoghi in cui l’erosione ha creato paesaggi spettacolari. Oppure, per parlare di artropodi, si potrebbe andare nel giardino o nel cortile della scuola con una lente di ingrandimento per far osservare ragni e insetti o, addirittura, mettere qualche trappola per catturarne qualcuno da osservare poi in laboratorio con un microscopio stereoscopio. O ancora, si potrebbe raccontare una storia, come la biografia di uno scienziato o la descrizione di una scoperta importante o si potrebbero leggere e discutere brevi articoli tratti da un quotidiano su fatti o eventi rilevanti legati al territorio dove vivono gli studenti. Insomma, lo avrete capito, le possibilità sono infinite!
A questo punto vi starete chiedendo quali attività di Engage prevede la mia unità sull’idrosfera marina. Cose estremamente semplici, a dire il vero.
Engage. Che cosa ne pensi?
Per prima cosa mostrerò una mappa globale degli oceani (tutti i libri di testo ne hanno una) e inizierò a sollecitare le preconoscenze dei ragazzi chiedendo semplicemente:
“Quanti oceani ci sono nel mondo?”
“Sono tutti collegati tra loro o sono separati?”
Dopo aver sollecitato (e annotato per poterci riflettere successivamente) le risposte dei ragazzi dirò loro che esiste un solo oceano globale, ma che questa grande massa d’acqua che copre il 71% della Terra è geograficamente diviso in regioni distinte. I confini tra queste regioni sono cambiati nel tempo per una serie di motivi storici, culturali, geografici e scientifici. Storicamente, infatti, ci sono quattro bacini oceanici: Atlantico, Pacifico, Indiano e Artico. Tuttavia, la maggior parte dei paesi oggi riconosce l’oceano Meridionale (o Antartico) come il quinto bacino oceanico.
“Mari e oceani sono la stessa cosa?”
Molte volte i ragazzi non sanno rispondere a questa domanda. Nella vita di tutti i giorni, infatti, molte persone usano i termini “oceano” e “mare” in modo intercambiabile, ma c’è una differenza tra i due termini.
I mari sono più piccoli degli oceani e di solito sono parzialmente chiusi dalla terra.
Il mar dei Sargassi, che prende il nome da un genere di alga galleggiante chiamata Sargassum, è un’eccezione perché è l’unico mare che non è circondato da terre emerse, è situato all’interno dell’Oceano Atlantico ed è definito solo dalle correnti oceaniche.
Gli oceani, invece, solitamente sono più vasti e profondi, separano i continenti e per lo più giacciono su crosta terrestre di tipo oceanico (rocce vulcaniche formatesi lungo le dorsali oceaniche).
“Secondo voi, perché l’acqua degli oceani si muove?”
È possibile che gli studenti non abbiano mai affrontato prima le cause della circolazione oceanica: è bene, quindi, incoraggiarli a riflettere sulle proprie esperienze (ad esempio, quando sono stati in barca, hanno osservato oggetti che galleggiano in mare o hanno visto il vento gonfiare le onde quando c’è brutto tempo…). È molto probabile, che discutendone insieme, arrivino a collegare movimento dell’acqua e onde alla presenza del vento.
In realtà, il movimento dell’acqua negli oceani è un fenomeno abbastanza complesso. Come sapete, ci sono due sistemi di circolazione indipendenti l’uno dall’altro: la circolazione superficiale e quella profonda. La circolazione superficiale, che in genere si sviluppa fino ad una profondità massima di 200 m, è guidata principalmente dallo stress (ossia dall’attrito) del vento sulla superficie dell’oceano. La circolazione profonda, invece, si riferisce a profondità superiori ed è guidata dalle differenze di densità nelle masse d’acqua. Questa circolazione è anche chiamata termoalina poiché i due fattori importanti che la controllano sono temperatura e salinità.
Per questa discussione non servono più di quindici-venti minuti per cui a questo punto mostrerò il video Perpetual Ocean della NASA: (durata 3:02 minuti)
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=CCmTY0PKGDs&w=560&h=315]
Perpetual Ocean è un’animazione che mostra il movimento delle correnti della superficie dell’oceano viste dalla spazio, visibili attraverso migliaia di linee bianche vorticose che indicano il movimento dei flussi superficiali in un periodo compreso tra giugno 2005 e dicembre 2007. Il flusso inizia vicino alla Florida e traccia un percorso tortuoso lungo gli Stati Uniti verso il Canada prima di girare a est attraverso l’Atlantico settentrionale. Molte delle correnti oceaniche più piccole appaiono come anelli bianchi vorticosi (vortici). Raggruppamenti di spicco di questi vortici, che assomigliano a cerchi concentrici, sono visibili nel Mar dei Caraibi, nel Golfo del Messico e vicino alla Corrente del Golfo. Nell’Oceano Indiano meridionale, la corrente di Agulhas scorre verso sud lungo la costa orientale del Mozambico e del Sudafrica. Sulla punta meridionale dell’Africa, la corrente gira bruscamente ad est attraverso l’Oceano Indiano. Sono presenti molti vortici e i più importanti si trovano al largo delle coste dell’Africa meridionale e del Madagascar meridionale. Nell’Oceano Pacifico settentrionale, la corrente di Kuroshio scorre a nord-est da Taiwan, lungo la costa sud-orientale del Giappone e nel Pacifico settentrionale. Molti vortici sono visibili anche in questa zona, in particolare al largo delle coste di Taiwan e del Giappone. Nell’Oceano Pacifico, ci sono forti correnti equatoriali che fluiscono verso ovest situate su entrambi i lati dell’equatore. Vicino al Polo Sud, la corrente circumpolare antartica circonda il continente dell’Antartide.
Chiederò ai ragazzi di guardare il video in silenzio una prima volta scrivendo sul quaderno le proprie considerazioni riguardo:
“Cosa notate?”
“Cosa pensate che mostri questa animazione?”
Per la maggior parte degli studenti le caratteristiche più importanti saranno il costante movimento dell’oceano e la miriade di punti, linee e vortici.
Lascerò poi altri due minuti (letteralmente due minuti) per rispondere individualmente sul quaderno a queste domande:
“Secondo voi, gli schemi di movimento che avete visto nel video che impatto possono avere sulla Terra?”
“In che modo, secondo voi, questi schemi di movimento dell’acqua dell’oceano hanno a che fare con la distribuzione di energia in tutto il pianeta?”
Non si tratta di una riflessione facile, soprattutto perché i ragazzi sono abituati a richiamare informazioni, a ricordare ciò che hanno studiato in precedenza e si trovano in difficoltà quando devono, invece, riflettere sulla base delle proprie idee. È proprio per questo che chiedo sempre di scrivere individualmente per un paio di minuti, per forzarli a riflettere senza il suggerimento di nessuno.
In un approccio didattico costruttivista come questo il quaderno è uno strumento di lavoro importantissimo che permette di tenere traccia di tutto il percorso, sia per lo studente che potrà rivedere quanto fatto e controllare i propri progressi nel tempo, sia per l’insegnante per la valutazione formativa.
Quindi, riproduco nuovamente il video, lascio ancora un minuto per sistemare le proprie annotazioni, dopodiché discutiamo insieme le risposte date alle domande.
In genere è in questa fase che cominciano ad emergere alcune misconcenzioni. Dalle risposte date, solitamente salta fuori che gli oceani non sono collegati tra loro e che ciò che accade nell’acqua oceanica non ha alcun impatto sull’intero pianeta e men che meno sulla loro vita (soprattutto se vivono lontano dal mare come nel mio caso!).
Come vi dicevo prima, non cederò alla tentazione di correggere le risposte sbagliate ma mi limiterò ad accettare tutte le risposte dicendo ai ragazzi che discuteremo ancora di tutto questo più avanti, nelle lezioni successive, quando ne sapremo di più.
A questo punto presenterò ai ragazzi il compito autentico come una sorta di sfida a cui lavorare lungo tutto il percorso, discuteremo la rubric e formeremo i gruppi di lavoro. Tutte le attività didattiche delle lezioni successive serviranno, infatti, per arrivare a costruire conoscenze, abilità e competenze necessarie per svolgere il compito assegnato.
La lezione successiva cominceremo a riflettere sulle caratteristiche dell’acqua salata ma questa è un’altra storia (fase) e ve la racconterò la prossima settimana.
A presto! 🙂
Barbara
Per approfondire:
- B. Scapellato, Inquiry-Based Science Education. Dalla teoria alla pratica: l’approccio IBSE per una comprensione profonda delle scienze naturali, Pearson, 2017.
- R. Bybee, The BSCS 5E instructional model – creating teachable moments. NSTA Press, 2015.
- Bransford J., Brown A., Cocking R. (1999), How People Learn: Brain, Mind, Experience and School, National Academy Press, Washington D.C.
Meyer D.Z. et alii (2012), Eight ways to do Inquiry, in The Science teacher, pp. 40-44.
[…] le attività della fase di Engage, comincio la nuova lezione con una discussione a livello di classe proponendo alcune […]