Sto fissando da dieci minuti questa foto, scattata nella mia scuola giovedì 30 ottobre (primo giorno di DID) cercando di trovare le parole per raccontarvi come mi sento.

È proprio vero quello che si dice. La realtà è capace di superare di gran lunga la fantasia e non sempre è una bella cosa… Se un anno fa mi avessero detto che avrei fatto lezione in una classe vuota mi sarei fatta una bella risata, non ci avrei mai creduto.

Se il primo giorno è stato strano, il secondo è stato anche peggio. Mi è sembrato di ripiombare di colpo nei lunghi mesi bui del lockdown, ma senza l’energia che avevo allora.

La scuola è, giustamente (la misura serve a questo, no?), semideserta e gli insegnanti sembrano vagare in una sorta di girone dantesco dell’inferno: si spostano da un’aula all’altra ad ogni cambio dell’ora, disinfettando mani e cose e spiegano in classi vuote a ragazzi distanti (fisicamente e mentalmente). Una stretta allo stomaco, un gran senso di vuoto.

Eppure (un “eppure” è meglio che ci sia sempre), mi sforzo di sentirmi anche grata. Grata della possibilità di essere comunque lì. Grata di poter fare la mia parte affinché questo momento tremendo che stiamo vivendo porti comunque a qualcosa di buono per i ragazzi. Ma quanto è dura! Ci siamo già passati e siamo già sfiniti e scoraggiati. Almeno… io mi sento proprio così.

Non so se lo sapete, ma l’OMS ha scritto un documento, rivolto ai governanti dei vari Paesi, in cui si parla di pandemic fatigue, ovvero di stanchezza da pandemia.

Pandemic fatigue is an expected and natural response
to a prolonged public health crisis – not least because
the severity and scale of the COVID-19 pandemic have
called for the implementation of invasive measures with
unprecedented impacts on the daily lives of everyone,
including those who have not been directly affected by
the virus itself.

La stanchezza da pandemia è una risposta attesa e naturale a una prolungata crisi della salute pubblica, anche perché la gravità e l’entità della pandemia COVID-19 ha chiesto l’attuazione di misure invasive con
impatti senza precedenti sulla vita quotidiana di tutti, compresi quelli che non sono stati direttamente interessati dal virus stesso.

Siamo insegnanti, ma siamo prima di tutto esseri umani. Abbiamo ricominciato la scuola con l’illusione di avere il controllo della situazione. Banchi “distanziati”, mascherine tutto il tempo (almeno nella mia scuola), disinfettante ovunque, continua pulizia di mani, computer e cose. Sembrava andare tutto bene.

In fondo ci siamo abituati piuttosto velocemente alla mascherina, in fondo non è poi così difficile fare lezione anche così, imbavagliati, in fondo pensavo peggio, in fondo li vedo sorridere comunque attraverso gli occhi, in fondo sta andando tutto bene… E invece no, ci risiamo, ancora.

Ed è proprio quell’ancora il vero problema. Ci siamo illusi di avercela quasi fatta, di poter avere il controllo e, invece, siamo andati a sbattere contro il muro del “no che non ce l’abbiamo il controllo“. Ma questa volta è come dover ricominciare a correre dopo aver appena finito una maratona. Ci siamo riposati un po’ è vero, ma ricominciare dopo uno sforzo così grande non è per niente facile, parti già stanco, senti che non ce la fai…

Voglio dirvi tutta la verità. Mentre leggevo il documento dell’OMS mi sono accorta che le lacrime scendevano silenziosamente e inarrestabili. Quel documento stava parlando anche di me, perché questa pandemia non ha effetti devastanti solo sull’economia, sul lavoro ma su tutta la nostra vita ed io, anche se ogni giorno cerco di indossare il mio sorriso migliore, cerco di rassicurare i ragazzi con l’allegria del buongiorno, dentro di me, invece, arranco, perché questa salita sembra proprio non finire mai…

Nel documento si legge anche che questo stato di cose porta ad una pericolosa situazione di anergia, ossia alla perdita di forza fisica e mentale perché ci sembra che tutti i sacrifici fatti fin qui, non siano serviti a niente, che tutto sia inutile.

Leggere queste parole ha liberato lacrime che evidentemente trattenevo da troppo tempo, al contempo, però, ha avuto su di me l’effetto di un balsamo. Non solo mi ha portato ad avere maggiore consapevolezza delle emozioni in tempesta dentro di me, ma mi ha fatto sentire anche meno sola, meno “sbagliata” e ho sentito il bisogno di condividere anche con voi questa fragilità, perché ho capito che sentirsi fragili non significa essere sbagliati ma essere semplicemente umani.

In quest’ultimo anno, il blog è cresciuto molto e ne sono felice. Siete davvero in tanti a seguire i miei post e ogni volta che mi scrivete e mi raccontate di voi è una gioia immensa.

Nelle ultime settimane sono stata poco presente. In questo turbinio di emozioni e di continua riorganizzazione del lavoro, ho faticato a trovare il tempo, o meglio, le energie per scrivervi, ma oggi sono qui davanti al computer per dirvi che le mail che mi avete inviato nelle ultime settimane sono state come un caldo abbraccio, di quelli che al momento non possiamo permetterci, per cui, proprio per ricambiare quell’abbraccio, sono qui a raccontarvi del mio silenzio e per dirvi che ci sono.

Nei prossimi giorni cercherò di capire come riorganizzare le lezioni in modo da provare a coinvolgere di più i ragazzi che fanno lezione a distanza, sperando di riuscire, in qualche modo, a fargli venire voglia di tenere accesa la webcam. Non so se ci riuscirò, ma se vi va continuerò a raccontarvi com’è andata.

Grazie per esserci! Vi abbraccio

Barbara

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