L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma nato nel 2015 e firmato dai 193 Paesi dell’ONU, in cui vengono elencati 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile che i paesi firmatari si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
Gli obiettivi dell’Agenda non sono “solo” una questione politica ma devono essere anche un obiettivo per i singoli cittadini, perché riguardano un insieme di questioni veramente importanti: dalla lotta alla povertà, all’eliminazione della fame e al contrasto al cambiamento climatico.
Solitamente, a prescindere dalla materia insegnata nelle diverse classi, cerco di trovare possibili collegamenti tra quanto facciamo e gli obiettivi dell’Agenda, ma si tratta sempre di piccole cose, che, in fondo, lasciano una traccia flebile nel percorso formativo dei ragazzi.
In particolare, relativamente alla lotta al cambiamento climatico, per quanto ne sentissi l’urgenza, non riuscivo a trovare il modo per creare un percorso per i miei studenti di quinta che fosse strutturato e profondamente immerso nella realtà che ci circonda.

L’Obiettivo 13 dell’Agenda 2030 riguarda il “promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico”. Sul sito delle Nazioni Unite c’è un’ottima sintesi delle cause e delle conseguenze di questo grave problema, come pure delle possibili soluzioni.

Ma come portare tutto questo in classe in modo da far sentire con forza la rilevanza della questione e far comprendere che non solo siamo tutti parte del problema ma anche che tutti possiamo essere parte della soluzione?

Sappiamo che la risposta al cambiamento climatico oggi comprende fondamentalmente due cose:
– mitigazione del cambiamento climatico, ossia ridurre le nostre emissioni e stabilizzare i livelli di gas serra nell’atmosfera e
– adattamento al clima effettivo e previsto.

Sappiamo anche che per raggiungere questo obiettivo sono necessari moltissimi strumenti: regolamenti politici, incentivi finanziari e tecnologici… È altrettanto chiaro, però, che tutto questo può funzionare solo se le persone comprendono veramente che cos’è il cambiamento climatico e come poter agire di conseguenza.
Ciò che serve davvero, quindi, è un cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone, un’educazione alla sostenibilità che cambi le menti e non il clima, e quale luogo migliore per iniziare se non la scuola?

Sono anni che mi riprometto di fare qualcosa di più a questo riguardo, soprattutto nelle quinte, ma poi l’odiata logica del coprire quanto più contenuto disciplinare possibile travolge e stritola anche me.
Ogni anno, a livello di Dipartimento, facciamo le stesse nobili dichiarazioni di intenti: iniziare con la chimica organica, fare un po’ di biochimica, quindi le biotecnologie e infine le scienze della Terra dove, oltre alla tettonica delle placche, parleremo di atmosfera e di cambiamenti climatici.
Ogni anno, però, il film finisce sempre allo stesso modo: arriva Pasqua e tutto precipita, così ai cambiamenti climatici non ci arriviamo mai (se non surfandoci sopra).

Ma quest’anno no. Sentivo il bisogno di fare qualcosa perché anche “insegnare il cambiamento climatico” può essere un piccolo contributo alla risoluzione del problema. Quindi, incoraggiata dall’avere studenti fantastici che affrontano con entusiasmo ogni mia nuova proposta, ho deciso di smettere di procrastinare nascondendomi dietro a mille “nobili” scuse e fare qualcosa subito, iniziando a “cambiare le menti” partendo dalla mia!

Una volta presa questa decisione, però, restava sempre un problema (e bello grosso anche): come fare a trasformare le buone intenzioni in azioni?
I libri di testo non sono di grande aiuto in tal senso. Ne ho sfogliati molti ma non ho trovato un vero e proprio percorso interessante, ben strutturato e approfondito sulla questione. Più ci riflettevo, leggevo, studiavo e più mi ritrovavo con poche idee e tutte confuse.

La lampadina dell’eureka si è accesa la mattina del 2 novembre mentre guidavo verso la scuola.
Stavo ascoltando Morning, il bellissimo podcast di Francesco Costa, che parlava dell’evento che quel giorno occupava la maggior parte delle prime pagine dei quotidiani: l’inizio della COP26, la conferenza sul clima che si era appena aperta a Glasgow, subito dopo il vertice del G20, tenutosi a Roma pochi giorni prima.
Nella sua analisi di quanto riportato negli articoli dei diversi quotidiani, a un certo punto (min.16:48), Francesco Costa ha citato un articolo, presente su Repubblica, di Stefano Mancuso che riguardava l’impegno assunto dai leader del G20 di piantare mille miliardi di alberi.
Nel suo articolo, Mancuso scrive:

“Non avrei scommesso un centesimo sulla possibilità che il G20 prendesse delle decisioni in grado di incidere significativamente sul futuro del clima del pianeta. Con gioia devo ammettere di aver avuto torto. Invece delle solite liste di buone ma vaghe intenzioni, questa volta è riportata nero su bianco una soluzione fondamentale che darà risultati importanti nella lotta al riscaldamento globale: piantare mille miliardi di alberi entro il 2030…Si tratta, senza ombra di dubbio — qualora fosse effettivamente realizzato — di un passaggio fondamentale per garantire alla nostra specie un futuro più sereno, il cui merito va riconosciuto al G20 a presidenza italiana. Questi mille miliardi di alberi, infatti, rappresentano un’arma efficientissima per abbassare il livello dell’anidride carbonica (CO2) atmosferica da cui dipende direttamente l’aumento della temperatura media del pianeta, ossia il famigerato riscaldamento globale.”
Mancuso, spiega anche che: “se osserviamo un grafico dell’andamento della CO2 nell’atmosfera, diciamo dall’anno 1000 ad oggi, ci accorgiamo che il suo livello è sempre rimasto intorno alle 280 ppm (parti per milione) fin verso il 1800. Nel 1900 era ancora ben al di sotto di 300 ppm, mentre oggi è schizzato oltre le 410 ppm. La causa da cui dipende questo improvviso innalzamento della CO2 negli ultimi due secoli è da ricercare nell’aumento esponenziale delle emissioni conseguenti alla rivoluzione industriale. C’è dell’altro, tuttavia, cui non si è mai riservato la dovuta attenzione. A partire dall’inizio della civilizzazione umana ad oggi, l’uomo ha tagliato all’incirca la metà di tutti gli alberi presenti sul pianeta. Erano 6.000 miliardi prima dell’invenzione dell’agricoltura, oggi ne sono rimasti 3.000 miliardi. Ne abbiamo tagliati, quindi, 3.000 miliardi nel corso degli ultimi 12.000 anni, con un’accelerazione straordinaria dal 1700 a oggi. Ora, queste migliaia di miliardi di alberi che abbiamo rimosso dalla superficie del pianeta svolgevano un ruolo fondamentale assorbendo dall’atmosfera — grazie al fenomeno della fotosintesi — enormi quantità di CO2. In altre parole, gli alberi sono in grado di fare ciò che la nostra tecnologia è, per ora, in grado soltanto di sognare, ossia rimuovere CO2 dall’atmosfera a bassi costi ed alta efficienza. Talmente bene svolgono il loro lavoro che qualora ne piantassimo in quantità sufficiente potremmo finalmente raggiungere l’agognato risultato di abbassare il livello della CO2 nell’atmosfera.”

Eccolo il mio ENGAGE! Lo avevo trovato!
E così, d’impulso, in modo da non potermi più tirare indietro e dover mantenere la parola data, prima ancora di programmare il cosa, ho iniziato a programmare il quando. Mi sono subito fermata in edicola per comprare il giornale (oggi l’articolo di Mancuso è reperibile anche online).
Una volta arrivata a scuola, l’ho fotocopiato, l’ho letto insieme ai ragazzi e ho chiesto loro se sentissero o meno l’esigenza di saperne di più, di capire veramente la questione del cambiamento climatico, se ci fosse da parte loro un reale bisogno di comprensione. Sono venute fuori cose bellissime dalla nostra chiacchierata, è stato un vero momento magico, da cui è scaturita l’idea di creare il nostro personale Friday for future: ogni settimana (più precisamente ogni venerdì) fino alla fine dell’anno scolastico, avremmo lavorato sul cambiamento climatico per cercare di capire come dare un contributo attivo alla soluzione del problema.
Progetto ambizioso, nient’affatto semplice che, comunque, è iniziato il venerdì successivo e che sta dando frutti incredibili anche a livello umano.

In questi ultimi mesi, lo sapete, sono stata molto silenziosa. Presa da mille impegni e, non mi vergogno ad ammetterlo, decisamente provata emotivamente da quanto accaduto negli ultimi due anni a causa del COVID, non riuscivo più a scrivere. Questa esperienza con i miei ragazzi, però, mi sta dando talmente tanto, soprattutto a livello personale, che ho sentito il bisogno di condividerlo anche con voi e così eccomi qua davanti alla tastiera con una rinnovata voglia di scrivere e raccontare.
Volete sapere cosa mi sono “inventata” fin qui? A venerdì prossimo, allora!

Ascolta “Piantare mille miliardi di alberi, ovvero perché è importante parlare di cambiamento climatico a scuola.” su Spreaker.

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