​​La settimana scorsa vi ho raccontato del mio desiderio di sviluppare un percorso sul cambiamento climatico che fosse un’esperienza davvero significativa e trasformativa per i miei ragazzi e che presa da un impulso di entusiasmo, mi sono lanciata in questa nuova avventura didattica leggendo in classe un articolo di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che supportava, con altrettanto entusiasmo, la decisione presa durante il G20, tenutosi a Roma alla fine di ottobre, di piantare entro il 2030 mille miliardi di alberi, in quanto, per dirla con le sue parole, “arma efficientissima per abbassare il livello dell’anidride carbonica atmosferica da cui dipende direttamente l’aumento della temperatura media del pianeta, ossia il famigerato riscaldamento globale.

Ricordo bene come mi sentivo quel giorno. Ero entusiasta della reazione di interesse da parte dei ragazzi e felice per aver finalmente trovato la forza di uscire dai soliti schemi e percorsi didattici per andare verso qualcosa di nuovo e di molto importante per me.

Una volta a casa, però, i dubbi hanno iniziato a tormentarmi.
E adesso? Come procedo? Quale il passo successivo?
Mi sono seduta alla scrivania, ho ripreso in mano i miei libri, ho fatto un giro di giostra su Google ma niente… continuavo ad avere la sensazione di girare in tondo.

Non c’è un modo giusto o uno sbagliato di affrontare questo tema, ma io volevo trovare un modo che i ragazzi potessero sentire davvero importante per la loro vita.
In quel periodo, nella per così dire “vecchia” vita di classe, stavamo studiando i composti organici. Le solite cose: nomenclatura, proprietà fisiche, reazioni. Stavamo, quindi, parlando del carbonio, perché non iniziare proprio da qui?
Alberi e carbonio… poteva funzionare.
E così, piano piano, le idee hanno cominciato a prendere forma.

Dove si trova il carbonio, e quanto ce n’è sulla Terra?

Il carbonio è ovunque. È l’elemento più importante per gli organismi viventi perché costituisce l’ossatura delle molecole biologiche (acidi nucleici, proteine, carboidrati, lipidi).
Anche se nei viventi è l’elemento più diffuso, sulla Terra, invece, non è molto abbondante: appena lo 0,1% in volume della litosfera.
Per capire meglio quanto carbonio c’è sulla Terra abbiamo bisogno di un po’ di numeri.
Si stima che nell’intero sistema Terra ci siano 1,85 gigatonnellate (o petagrammi, PgC) di carbonio (1 gigatonnellata corrisponde a 1000 miliardi di Kg). Tutto questo carbonio è distribuito in diversi serbatoi, chiamati anche carbon pool, e i quattro serbatoi principali sono: la litosfera, gli oceani, la biosfera e l’atmosfera.

100 milioni di GtC si trovano nella crosta terrestre sotto forma di rocce sedimentarie (carbonati) e nei depositi organici.
Dalle 4.000 alle 10.000 gigatonnellate sono, invece, immagazzinate sotto forma di idrocarburi nei giacimenti di combustibili fossili che si sono formati nel sottosuolo milioni di anni fa (carbone, petrolio, gas naturale).
Altre 38.000 GtC sono disciolte in profondità negli oceani, dove rimangono per lunghi periodi, mentre 1000 GtC si trovano, invece, nella superficie oceanica dove vengono scambiate in tempi abbastanza rapidi con l’atmosfera.
750 GtC sono presenti, invece, nell’atmosfera in forma di CO2 (più raramente di CO) e di metano (CH4).
Nella biosfera, le piante contengono circa 560 GtC immagazzinate nei tronchi e nelle foglie.
Nel suolo sono conservate altre 1500 GtC in forma organica, nei microrganismi, nei funghi e nelle muffe.

Senza carbonio, la vita così come la conosciamo non esisterebbe.

Il benessere e il funzionamento del nostro pianeta dipendono dal carbonio e da come questo fluisce attraverso i sistemi della Terra.
Dal carbonio dipende anche la temperatura del nostro pianeta. La sua presenza nell’atmosfera contribuisce, infatti, al fenomeno dell’effetto serra che rende la Terra abbastanza calda da consentire l’esistenza della vita.
Senza l’effetto serra, la Terra sarebbe, quindi, un posto molto più freddo.
Ma a volte, troppo di una cosa buona può avere conseguenze negative. Troppa anidride carbonica che entra nell’atmosfera, infatti, può portare a un pianeta che diventa sempre più caldo.

Sulla Terra, i composti del carbonio circolano attraverso il suolo, l’atmosfera, gli oceani e tutti gli organismi che vi abitano. Mentre circolano, questi composti vengono continuamente convertiti in nuove forme.
Anche gli organismi viventi della biosfera hanno ruoli chiave nella conversione dei composti del carbonio in nuove forme.

Ma come fa il carbonio a spostarsi da un serbatoio all’altro?
L’insieme di tutte le trasformazioni che il carbonio subisce mentre fluisce da un serbatoio all’altro, costituiscono quello che viene definito un ciclo biogeochimico, ossia una serie di trasformazioni cicliche che coinvolgono tutte le sfere del pianeta Terra.

Ad esempio, attraverso la fotosintesi, gli organismi autotrofi assorbono l’anidride carbonica e la convertono in carboidrati, restituendo ossigeno all’atmosfera. In questo processo, il carbonio può rimanere nelle piante anche per migliaia di anni nel caso, per esempio, di alberi molto longevi. Secondo le stime, gli alberi rimuovono dall’atmosfera circa 120 GtC all’anno, ma una parte di questo carbonio torna poi nell’ atmosfera attraverso la respirazione (circa 58 GtC) e grazie all’azione degli organismi decompositori (59 GtC).
Un’altra parte del carbonio presente sul nostro pianeta si accumula nei fondali marini e nel suolo. Nelle reti alimentari marine molti organismi incorporano il carbonio anche nelle loro strutture scheletriche sotto forma di carbonato di calcio. In questa forma solida, il carbonio può essere immagazzinato in quantità enormi. Il carbonio circola nell’oceano anche attraverso processi biologici di fotosintesi e di respirazione tramite il plankton. Quando tutti questi organismi muoiono, i loro resti si depositano sul fondo degli oceani e formano enormi strati di rocce sedimentarie che, nel tempo, i movimenti tettonici riporteranno poi in superficie.
Anche l’acqua degli oceani ha un ruolo molto importante in questo ciclo perché regola la quantità di carbonio presente nell’atmosfera assorbendo l’anidride carbonica.
Nel ciclo oceano/atmosfera, l’oceano assorbe ogni anno circa 92 GtC dall’atmosfera, mentre ne rilascia circa 90 GtC, in un equilibrio naturale quasi perfetto.
Per milioni di anni, nelle rocce si sono accumulate grandi quantità di carbonio che derivano da intere foreste sepolte sotto una coltre di sedimenti. In questi ambienti privi di ossigeno, gli organismi decompositori non sono in grado di ritrasformare tutto il carbonio organico in CO2 così il materiale organico rimane sepolto e dove trova alte condizioni di pressione e temperatura si trasforma in giacimenti fossili di petrolio, gas naturale, carbone e torba. Una piccola parte di questo carbonio può essere liberato attraverso le eruzioni vulcaniche che ne emettono in media ogni anno circa 0,1 GtC.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Ricordate cosa diceva Mancuso nel suo articolo?
«Se osserviamo un grafico dell’andamento della CO2 nell’atmosfera, diciamo dall’anno 1000 ad oggi, ci accorgiamo che il suo livello è sempre rimasto intorno alle 280 ppm (parti per milione) fin verso il 1800. Nel 1900 era ancora ben al di sotto di 300 ppm, mentre oggi è schizzato oltre le 410 ppm.»

Il ciclo naturale del carbonio è rimasto in equilibrio per milioni di anni, mantenendo più o meno costante nel tempo la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ma, negli ultimi 150 anni, l’uomo ha alterato questo equilibrio. A partire dalla rivoluzione industriale del XIX secolo, infatti, l’anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata del 46%.
Gli scienziati hanno dimostrato che questo aumento è il risultato delle attività umane che si sono verificate negli ultimi 150 anni, tra cui la combustione di combustibili fossili per ricavare energia per le attività umane e la deforestazione.
Bruciando questi materiali si rilascia CO2 che si accumula nell’atmosfera e provoca gravi problemi ambientali: aumento dell’effetto serra, surriscaldamento globale, cambiamento climatico. Ma non solo…
Un altro problema ambientale causato dell’aumento della CO2 nell’atmosfera è l’acidificazione degli oceani. L’oceano, infatti, assorbe quasi un quarto dell’anidride carbonica emessa ogni anno dalle attività umane. L’eccesso di CO2 nelle acque oceaniche ne altera le caratteristiche chimiche portando ad un aumento dell’ acidità dell’acqua mettendo a rischio interi ecosistemi marini.

Quindi, possiamo dire che nella geosfera il ciclo del carbonio opera su scale temporali molto lente, da migliaia a milioni di anni. Sedimentazione, litificazione, tettonica e vulcanismo sono processi importanti della geosfera che convertono i composti del carbonio in nuove forme.
Nella biosfera, invece, il ciclo del carbonio opera su scale temporali rapide: da secondi fino a centinaia di anni. I processi chiave della biosfera che convertono i composti del carbonio in nuove forme sono la fotosintesi, la respirazione e la combustione.

Dal momento che il carbonio sembra essere collegato a tutto ciò che conta per noi – il nostro clima, i nostri corpi, i nostri ecosistemi, la salute del nostro pianeta – ha senso per tutti, scienziati e non, cercare di comprendere quanto più possiamo sul carbonio e su come questo circola attraverso le sfere della Terra perché è solo così che si potranno prendere “decisioni sul carbonio” sensate che potranno avere un impatto positivo sul nostro futuro.

Ma adesso viene il bello!
Come fanno gli scienziati a misurare il carbonio mentre si muove tra i vari serbatoi?
Ci sono molti modi per farlo. Ad esempio, si può misurare la quantità di carbonio accumulata negli alberi attraverso il lavoro sul campo e i dati satellitari.

Determinare l’altezza della chioma di una foresta è indispensabile per studiarne la struttura e quindi per comprendere il ciclo del carbonio.
Per misurarla, si possono utilizzare, degli strumenti chiamati LIDAR (Light Detection And Ranging) presenti su satelliti, come ad esempio l’ ICESAT-2 e il GEDI. Questi strumenti, inviano impulsi verso la Terra e misurano il tempo che questi impulsi impiegano per tornare verso i sensori del satellite.
Da queste informazioni si può capire l’altezza delle foreste e altre caratteristiche strutturali importanti della canopia (ossia della porzione superiore delle foreste formata dalle chiome degli alberi).
L’analisi dei dati satellitari viene, poi, intrecciata con i dati provenienti dal lavoro sul campo in cui, oltre a determinare quali specie arboree sono presenti nella foresta, si misurano alcuni valori biometrici degli alberi come diametro del tronco e altezza.

Arrivati a questo punto, i ragazzi avrebbero voluto sapere in che modo questi parametri biometrici e satellitari vengono impiegati per studiare il ciclo del carbonio sulla Terra, ma ho chiesto loro di pazientare un po’ per riflettere prima su un’altra questione.

Come fanno gli alberi delle foreste a diventare così grandi?

In California, ci sono alberi di sequoia gigante che hanno più di 2000 anni e raggiungono un’altezza di oltre 90 metri.
Il generale Sherman, ad esempio, è un imponente esemplare di sequoia gigante e anche se non è l’albero più alto del mondo (al momento il primato va alla Sequoia sempervirens chiamata Hyperion, alta 115,66 metri) è il più grande del mondo in termini di volume e si stima che pesi oltre un milione e novecentomila chilogrammi (1910 tonnellate).

Da dove viene tutta quella massa?
Proviamo a rifletterci mentre guardiamo su YouTube un breve video del National Geographic in cui degli scienziati prendono le misure al Presidente, la seconda sequoia gigante più grande al mondo che si trova nel Parco Nazionale del Redwood in California:

diametro 8 metri
altezza 75 metri
volume totale 1300 metri cubi
2 miliardi di foglie
età stimata 3200 anni.


Quindi chiedo: secondo voi, le sequoie giganti da dove prendono la materia che serve loro per crescere?
La discussione è stata interessante e a tratti persino buffa: dal suolo, dall’acqua, dal Sole…

Come tutti gli altri organismi, anche gli alberi crescono aggiungendo massa (biomassa) e l’ingrediente centrale per la produzione di quella nuova biomassa è proprio il carbonio.
La biomassa dell’albero è composta da tutte le parti dell’albero: le foglie, gli steli, i rami, le radici, i tronchi.
La biomassa del tessuto legnoso dell’albero è costituita principalmente da cellulosa, che è un composto del carbonio.
In un processo chiamato fissazione del carbonio, le piante trasformano la CO2, un composto inorganico del carbonio, in composti di carbonio organico che utilizzano per ricavare l’energia necessaria per la crescita e il metabolismo.
Quindi, la biomassa di un albero proviene principalmente dall’anidride carbonica dell’aria!

Bene! Con queste riflessioni, abbiamo costruito il background necessario per poter passare all’azione e prendere anche noi un po’ di misure.
La settimana successiva, infatti, siamo usciti sul campo, nel parco vicino alla scuola, e abbiamo raccolto qualche dato simulando il lavoro degli scienziati.
Siete curiosi di sapere com’è andata? Allora, ci ritroviamo sempre qui la prossima settimana! 🙂

Ascolta “Alberi e carbonio” su Spreaker.

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