I cervelli umani sono grigi, il sangue è rosso, le nostre ossa sono bianche, non importa dove sei nato e da chi. Ma la pelle umana è diversa. Alcuni di noi hanno la pelle marrone scuro, altri la pelle bianca rosata, molti sono una via di mezzo. Per molto tempo, il motivo per cui esiste questa variazione è stato un vero mistero scientifico. Ciò ha aperto la porta ad alcuni per dare un valore morale a questo tratto biologico e, quindi, usarlo per giustificare la sofferenza degli altri. Ma i tratti biologici non sono né buoni né cattivi. Sono caratteristiche che si sono evolute perché aumentano la probabilità di un organismo di sopravvivere e trasmettere i suoi geni.

Nina Jablonski The biology of skin color.

Comincia così il documentario della HHMI Biointeractive The biology of skin color, perfetta attività di Elaborate per la  mia unità sul sistema tegumentario.

In questo documentario, la Dott.ssa Nina Jablonski, antropologa della Penn State University,  con un linguaggio semplice e accessibile spiega, attraverso evidenze scientifiche, come le diverse tonalità del colore della pelle siano nate come adattamenti all’intensità delle radiazioni ultraviolette in diverse parti del mondo.

Il punto di partenza di questo viaggio nella conoscenza è che i tratti biologici non sono intrinsecamente né buoni né cattivi. Infatti, alcuni tratti possono fornire un vantaggio ad un organismo che vive in un determinato ambiente, ma possono essere uno svantaggio in un ambiente diverso.

I tratti biologici sono, quindi, caratteristiche che si sono evolute all’interno di una popolazione perché hanno aumentato la possibilità di un organismo di sopravvivere e  trasmettere così i suoi geni.

Il colore della pelle è un indicatore chiaramente visibile della diversità umana e, oltre alla mancanza di peli,  è qualcosa che ci distingue dai primati, nostri “parenti” animali più prossimi.

Il colore della pelle dipende da quali lunghezze d’onda della luce vengono rilesse o assorbite dalla melanina, il pigmento che si trova nello strato superiore della nostra pelle.

Da dove viene la gamma di colori della pelle umana?

È il nostro DNA individuale che determina il tipo di melanina prodotta dalle nostre cellule. La feomelanina di colore giallo-rossastro è più abbondante nelle persone leggermente pigmentate, mentre le persone con la pelle più scura hanno una quantità maggiore di eumelanina di colore marrone-nero. Più eumelanina abbiamo, più scura sarà la nostra pelle.

Biologicamente parlando, però, non è poi così importante di che colore siamo e quindi quali lunghezze d’onda della luce rifletta la nostra melanina. Ciò che è veramente importante  è quali radiazioni assorbe.

Le radiazioni UV possono penetrare nelle cellule e causare mutazioni nel DNA. La melanina, quindi, protegge le nostre cellule dagli effetti dannosi delle radiazioni UV assorbendole. Con l’evoluzione, abbiamo perso i peli sul corpo e aumentato la produzione di melanina nella nostra pelle.

Esiste un collegamento tra l’intensità della radiazione UV e il colore della pelle?

La risposta è sì.

Grazie all’analisi di dati raccolti dalla NASA negli anni ’80 a seguito della preoccupante diminuzione della concentrazione di ozono nell’atmosfera, la Dott.ssa Jablonski ha scoperto che non solo esiste una chiara correlazione tra l’intensità della radiazione UV e la latitudine (è più intensa lungo l’equatore e più debole ai poli) ma l’intensità della radiazione UV consente anche di prevedere il colore della pelle delle popolazioni indigene. Dove le radiazioni UV sono più forti (vicino all’equatore o in alta quota) la pelle  è scura. Ai poli, la pelle degli indigeni, invece, è quasi sempre più chiara.

I dati suggeriscono, quindi, che le variazioni nella produzione di melanina nella pelle umana siano nate quando popolazioni diverse si sono adattate biologicamente alle diverse condizioni solari nelle diverse parti del mondo.

1024px-Skin_color

Credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Skin_color.png

La prova di questa evoluzione per selezione naturale si trova nel genoma.

Uno dei tanti geni collegati al colore della pelle dell’uomo si chiama MC1R (recettore 1 della melanocortina), un gene localizzato sul cromosoma 16 che codifica per una proteina che si trova sulla membrana dei melanociti e  che controlla quale tipo di melanina viene prodotta. La sua attivazione stimola il passaggio dalla produzione di feomelanina (giallo-rossastra) a quella di eumelanina (marrone-nera).

2880px-Ideogram_human_chromosome_16.svg

Credits: By National Center for Biotechnology Information, U.S. National Library of Medicine – NCBI’s Genome Decoration Page., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61375838

Sono stati fatti campionamenti di questo gene in tutto il mondo e i dati raccolti indicano che esiste una discreta variabilità nella sequenza di DNA di questo gene ma non ovunque.

Ad esempio, nelle popolazioni africane non c’è molta variabilità, e la maggior parte delle persone possiede l’allele che codifica per la pelle più scura.

L’assenza di variabilità indica che, in quella parte del mondo, esiste una forte selezione negativa contro tutti gli alleli che altererebbero la pelle scura. Questo tipo di selezione, detta anche selezione purificante,  comporta la rimozione selettiva di alleli rari dannosi e porta al mantenimento delle sequenze geniche nel tempo.

Da quanto tempo questo allele è fisso nelle popolazioni africane?

Le prove fossili e genetiche suggeriscono che 1,2 milioni di anni fa tutti gli esseri umani avessero la pelle scura, perché questo tratto costituiva un vantaggio.

Qual era questo vantaggio?

Per molto tempo si è ritenuto che si trattasse della protezione dai danni causati dagli UV al DNA delle cellule che possono essere fatali. Questo tipo di danni (cancro della pelle), però è molto improbabile che possa influire sulla capacità di un individuo di trasmettere i propri geni perché, solitamente, si manifesta dopo il picco degli anni riproduttivi di una persona. 

La Dott.ssa Jablonski, invece, ha scoperto che il motivo aveva a che fare con il fatto che la radiazione UV rompe la molecola di folato (vitamina B9) che circola nei vasi sanguigni della pelle.

Il folato è essenziale nella prevenzione di alcune malformazioni congenite, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale (es. spina bifida), ma è anche necessario per la produzione di spermatozoi sani nei maschi.

La melanina, quindi, ha il compito di proteggere dalla radiazioni UV questo nutriente essenziale mentre circola nei vasi sanguigni della pelle.

Perché allora non abbiamo tutti la pelle scura?

L’assorbimento dei raggi UV-B è fondamentale per la sintesi della vitamina D e questo è un processo che ha inizio proprio nella pelle.

Senza vitamina D non possiamo assorbire dalla dieta il calcio che serve per costruire le ossa e per un sistema immunitario sano.

Quando i nostri antenati vivevano vicino all’equatore, l’abbondanza di raggi UV-B permetteva di produrre la quantità necessaria di vitamina D nonostante la pelle scura.

Poi sono cominciati gli spostamenti delle popolazioni verso nord, dove i raggi UV che colpiscono la superficie terrestre sono molto più deboli. A quelle latitudini, l’intensità più debole dei raggi UV-B, la loro maggiore variabilità durante l’anno e la pelle scura rende difficile la produzione di vitamina D e la pressione selettiva sul gene MC1R che aveva prodotto la pelle scura nei nostri antenati ha cominciato a diminuire.

Andando verso i poli, quindi, diminuisce la pressione selettiva per la pelle scura per poter proteggere i folati e aumenta la selezione delle tonalità più chiare per consentire la produzione di vitamina D.

Ambienti diversi hanno piano piano portato alla selezione di geni diversi in termini di colore della pelle.

Quindi, attualmente, si ritiene che sia stata proprio la connessione UV-vitamina D che ha guidato l’evoluzione della pelle più chiara.

Un’evidenza a supporto di questa ipotesi è il fatto che le popolazioni indigene delle alte latitudini con diete ricche di vitamina D abbiano una pigmentazione scura.

L’evoluzione dell’incredibile variazione di colore della pelle umana odierna, quindi, è il risultato del bilanciamento di due necessità contrastanti: la necessità di proteggerci dalle pericolose radiazioni UV e la necessità di sfruttare alcune radiazioni UV a nostro vantaggio.

La selezione delle varianti del gene per la pelle chiara si è verificata più volte in diversi gruppi in tutto il mondo. Oggi la migrazione umana non richiede più intere generazioni, quindi c’è molta discrepanza tra il colore della pelle e la collocazione geografica.

Per proteggerci dai raggi UV e/o riuscire a produrre la necessaria quantità di vitamina D dobbiamo, quindi, imparare ad apportare i necessari cambiamenti nella vita quotidiana (protezione solare/eventuale integrazione di vitamina D).

Quindi la biologia del colore della pelle ci insegna qualcosa di molto importante: il colore della pelle è un prodotto dell’evoluzione, è ereditato indipendentemente da altri tratti e non è associato ad altri aspetti dell’aspetto o del comportamento di una persona.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=hFw8mMzH5YA&w=560&h=315]

Come usare in classe questa fantastica risorsa?

Dipende dal tempo che avete e dalle priorità curricolari che vi siete prefissati. Per quanto mi riguarda, il mio primo obiettivo in questo percorso di anatomia e fisiologia è quello di far sviluppare ai ragazzi una maggiore consapevolezza del proprio corpo e fare quanta più prevenzione possibile attraverso questa consapevolezza. Preferisco quindi trovare il tempo per approfondimenti come questi, che possono portare anche a discussioni interessanti di carattere sociale, riducendo quello dedicato alla lezione frontale.

Lavoro sempre più spesso in modalità flipped in modo da avere più tempo per attività di approfondimento e/o laboratoriali e per quanto mi riguarda questo è un sistema davvero efficiente.

Insomma… funziona su più fronti: maggiore interesse da parte dei ragazzi senza sacrificare i “contenuti del programma”.

Il piacere di vedere l’interesse, quello vero, negli studenti è qualcosa che, per me, non ha prezzo per cui tutto il tempo passato a cercare materiale, studiarlo, tradurlo e riadattarlo è, come sempre, tempo speso davvero bene.

E voi? Avete mai trattato questo argomento? Conoscevate già le meravigliose risorse dell’HHMI – Biointeractive? Quali usate e come le usate? Scrivetelo nei commenti!!!

Un abbraccio a tutti voi! Alla prossima 🙂

Barbara

Iscriviti alla newsletter per ricevere contenuti fantastici nella tua casella di posta!

*La Newsletter è gratuita e puoi annullare la tua iscrizione in qualsiasi momento!

Iscrivendomi do il consenso a ricevere email e comunicazioni periodiche da IBSE e dintorni e posso disiscrivermi in qualsiasi momento.

Categoria: