Quando vi mettete a progettare un’ unità di apprendimento da dove cominciate?

Siamo sinceri, molte volte è la scansione degli argomenti del libro di testo il faro che orienta nella notte. Sbaglio?

Naturalmente non ho nulla contro i libri di testo, anzi. Ce ne sono di bellissimi, con impianti didattici interessanti, ma partire da lì significa partire dai contenuti, dal “programma” e ormai lo sappiamo bene questa NON è la strada.

Da dove partire allora?

Immaginiamo di voler progettare una unità di apprendimento che sia anche inquiry-based. Non partiremo certo dal libro di testo (l’approccio in sé non ci porterebbe mai in quella direzione), ma allora da dove? Da un’attività sperimentale/laboratoriale?

Ce ne sono di bellissime online, quindi abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: ne scegliamo una che ci consenta di stare nei tempi che abbiamo stabilito, di sfruttare l’attrezzatura che abbiamo in laboratorio, o che è realizzabile con materiale povero quando il laboratorio non c’è,  e ci costruiamo intorno un bel percorso. Così va bene?

Mi dispiace, ma è ancora no.

Nessun percorso costruito intorno ad una attività, anche la più coinvolgente e appassionante, porterà mai ad una comprensione profonda, ma resterà semplicemente una bella parentesi nella noiosa routine scolastica e niente di più.

I primi giorni di scuola quando incontro i ragazzi di prima mi piace molto farli parlare di sé, delle loro passioni fuori dalla scuola e dei ricordi più belli legati invece alla scuola che hanno frequentato fino a pochi mesi prima.

La cosa che mi colpisce sempre è che tutti mi raccontano di quando hanno fatto attività sperimentali, magari nell’ambito di qualche bel progetto legato anche ad una “trasferta” lontano da scuola, ma quando cerco di saperne di più e chiedo i dettagli,  cosa hanno fatto praticamente nessuno se lo ricorda più. Ricordano l’emozione (“Mi è piaciuto un sacco! Ci siamo divertiti!”) ma non cosa ha suscitato questa emozione o perché.

Cosa significa tutto ciò?

Vista la giovane età degli studenti, questa mancanza di “memoria” mi porta a pensare che le attività che hanno ancora nel cuore, sicuramente bellissime e ben organizzate, fossero però slegate dalla realtà quotidiana, sia scolastica che extrascolastica, prive di quel significato che conferisce persistenza nel tempo.

Anche le attività più belle, se non vengono inserite in una progettazione densa di significato, cadono velocemente nel dimenticatoio e non c’è da stupirsi quindi se pochi mesi dopo non ricordano più nulla.

Vi è mai capitato di riprendere un concetto o addirittura far rifare un’attività sperimentale (proprio la stessa) dopo un certo tempo (magari un anno o due) e scoprire che i ragazzi non ricordano nemmeno di averla già fatta? A me sì, e questo mi fa sempre riflettere molto.

Nessuno (e men che meno io) ha tutte le risposte per risolvere questa mancanza di attenzione, di persistenza di quanto appreso, di interesse verso la scuola.

Tutti noi docenti vorremmo, però, riuscire a trasformare un apprendimento da post-it, pronto a staccarsi e volare via da un momento all’altro, in qualcosa di solido e persistente.

Nella scuola, come nella vita del resto, se vogliamo veramente cambiare qualcosa dobbiamo avere una “visione” e lavorare in quella direzione con costanza e determinazione senza scoraggiarsi, sperimentando possibili soluzioni, rinforzando e consolidando ciò che funziona e scartando e/o modificando ciò che invece si è rivelato inutile o addirittura sbagliato.

Non è così che fate anche voi?

Nessuno guarda a noi come dei professionisti riflessivi ma sappiamo bene quanto questa visione che i media hanno di noi sia ben lontana dalla realtà. Poco importa ciò che pensano di noi come categoria, i nostri studenti sanno riconoscere il valore del nostro impegno persino quando questo non funziona troppo bene su di loro.

Quindi?

Allora… per smettere di concentrarsi sempre (e inutilmente) sul problema, voglio provare a condividere con voi ciò che faccio io per cercare di non lasciarmi travolgere e restare focalizzata sulle possibili soluzioni.

Nessuno mi ha insegnato come essere una buona insegnante (forse per questo fatico tanto?).

Vi ho già raccontato come funzionava trent’anni fa (ebbene sì, non sono più una ragazzina e forse tendo a ripetermi…)? Nei concorsi ordinari venivi valutato solo sui contenuti e quando entravi in classe erano fatti tuoi.

Alcuni di noi provavano a seguire le orme di una/un docente che li aveva particolarmente ispirati ai tempi della scuola oppure (e questo è il mio caso) cercando di NON ESSERE MAI come l’insegnante di scienze che avevo avuto a scuola.

Si entrava, quindi, in classe con il libro di testo in mano cercando di “svolgere” presto e bene i contenuti al suo interno. Più pagine spiegavamo, più sentivamo di aver fatto bene  il nostro dovere. Poveri ragazzi!

Poi è venuto il momento dei concorsi riservati per abilitare chi insegnava già da un po’ e qui si è fatto un piccolo passo in avanti. Infatti, per superare gli esami e abilitarsi si doveva imparare un po’ di normativa scolastica e saper progettare quella che, allora, veniva chiamata un’unità didattica, successivamente trasformata in modulo e ora chiamata unità di apprendimento.

Certo le cose sono molto migliorate dalla fine degli anni ’80 ad oggi (e non solo nella moda e nel taglio dei capelli!), ma nella sostanza quanto è veramente cambiato in classe?

Non fraintendetemi, ci sono davvero tanti insegnanti bravi e appassionati, sia stagionati come me che giovani, come tanti di voi che  mi leggete, che ce la mettono davvero tutta, ma siamo sinceri quanto delle  meravigliose parole che scriviamo all’inizio dell’anno scolastico nel nostro piano di lavoro, perfettamente declinato in conoscenze, abilità e competenze (rigorosamente copiate dalla guida per il docente allegata al libro di testo?) entra davvero in classe con noi ogni giorno?

Accidenti, scusate! Stavo ricascando nel lamento!

Ripeto come un mantra: focalizzata sulla soluzione, focalizzata sulla soluzione, focalizzata sulla soluzione!!!

Ognuno di noi ha qualche mentore a cui far riferimento: i miei sono Rodger Bybee, Grant Wiggins e Jay McTighe rispettivamente padri del learning cycle delle 5E e della progettazione a ritroso che con i loro libri hanno contribuito a creare la mia “visione”.

Il lavoro di questi ultimi anni (dal dottorato in poi) mi ha profondamente cambiata ma sono una persona sincera e mentirei se vi dicessi di saper già mettere in pratica alla lettera tutti i loro insegnamenti che per me sono La strada per trasformare la visione della scuola che vorrei (totalmente centrata sullo studente, in grado di far emergere i talenti e dare fiducia e strumenti a chi i suoi talenti non li vede ancora) in realtà .

Quindi continuo a leggere, studiare, modificare, testare e ricominciare da capo.

Ma non mi basta! Sapete cosa vorrei?

Vorrei tanto riuscire a coinvolgere anche voi che mi leggete.

Per cui, ogni mercoledì pomeriggio, per tutta l’estate, condividerò con voi ciò che faccio quando progetto o revisiono una UDA (preferirei chiamarlo percorso, posso?).

Riprenderò in mano un percorso fatto quest’anno sia di Scienze della Terra che di Biologia e vi racconterò passo passo cosa ho fatto o cosa intendo fare per provare a migliorarne la qualità. Vi interessa?

Probabilmente sarete già in qualche meraviglioso luogo di villeggiatura e forse non vorrete sentir parlare di scuola (almeno quando siete in ferie) ma vorrei tanto che provaste comunque a riflettere insieme a  me proponendo i vostri punti di vista, le vostre riflessioni e i possibili miglioramenti che intravedete basandovi sulla vostra esperienza concreta, su ciò che sentite ha funzionato per voi.

Non importa in quale ordine e grado di scuola insegnate. Come sapete io sono alle superiori, ma i percorsi che analizzeremo insieme saranno solo un pretesto per capire insieme COME fare. Se poi, addirittura, vi andasse di lavorare, potreste provare a fare la stessa cosa adattando il percorso in modo da renderlo adatto ai vostri bambini o ragazzi. Pensate sia completamente fuori di testa a proporvi in luglio una cosa del genere?

Probabilmente avete anche ragione!

Ma sapete cos’altro c’è nella mia visione? Riuscire a trasformare le pagine di questo blog, che stando a quanto mi scrivete vi piace (grazie, grazie e ancora grazie!),  in una vera e propria “community” di buone pratiche condivise e persino di ricerca didattica condivisa.

Troppo ambiziosa? Può darsi ma sapete come si dice… se vuoi sognare devi farlo in grande, per cui… che ne dite? Accettate la sfida?

P.S. Grazie di cuore per le belle parole che mi scrivete via mail o via Messenger su Facebook! Siete energia pura per me! Vi abbraccio forte

Barbara

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