Uno degli aspetti importanti da far comprendere quando si affronta lo studio della cellula è l’importanza delle dimensioni. A questo proposito ho appena finito di leggere il libro di John Tyler Bonner, Why size matters – From Bacteria to Blue Whales, che vi consiglio assolutamente.

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Nel suo libro, Bonner fornisce moltissimi esempi interessanti per mostrare che è la taglia ciò che guida la forma e la funzione di qualunque essere vivente.

Le dimensioni di un organismo, infatti, sono sempre sotto stretta sorveglianza da parte della selezione naturale. La natura è composta da una vasta rete di quelle che Bonner chiama nicchie di taglia e tutti gli organismi viventi devono sempre fare i conti con la possibilità che per la propria progenie possa essere vantaggioso diventare più grandi o più piccoli.

Se si tratta di animali le dimensioni possono essere importanti per poter sfuggire ai predatori o cacciare una preda. Se si tratta di piante possono essere importanti per avere successo nella competizione per catturare i raggi solari necessari alla fotosintesi. Per i microrganismi il vantaggio più ovvio nel diventare più grandi può essere legato ad una maggiore velocità nell’inseguire una preda o nello scappare dai predatori. Diventare più grandi per pluricellularità può, invece, significare una dispersione delle spore più efficace o una migliore digestione del cibo, in quanto la presenza di una maggior quantità di enzimi digestivi viene assicurata dall’incremento del numero di cellule.

E l’elenco potrebbe continuare ancora, ma il punto chiave della faccenda è che, secondo Bonner, i cambiamenti di taglia (aumento o diminuzione) avranno vantaggi o svantaggi e saranno incoraggiati o scoraggiati dalla selezione naturale. È, quindi,  la selezione naturale la forza motrice per il cambiamento della dimensioni che, quando avviene, comporta moltissime conseguenze, soprattutto se aumentano.

Cambiare taglia significa modificare il volume, ma quando le dimensioni delle cellule aumentano queste fanno più fatica sia ricevere i nutrienti che a far uscire le sostanze di rifiuto e servirà una superficie per la diffusione adeguata al nuovo volume. Di conseguenza,  per taglie diverse ci saranno forme diverse.

Questo, naturalmente, influenzerà il metabolismo, la locomozione e molte altre proprietà. All’aumento di volume corrisponderà anche un aumento nella suddivisione del lavoro, ossia del numero di cellule e dei tipi di tessuti. Senza i necessari aggiustamenti richiesti dalla nuove dimensioni, gli organismi più grandi non ce la farebbero e, quindi, non esisterebbero. Potremmo, quindi, dire che sono le dimensioni a dettare le regole della vita.

Se, invece, le dimensioni diminuiscono, la taglia ha un ruolo un po’ diverso e non è più il dittatore assoluto, come dice Bonner. Questo perché avere una massa minore può consentire una diminuzione delle strutture che contribuiscono alla robustezza della cellula o della superficie per la diffusione. Potrebbe anche succedere che continuando a diminuire di dimensioni non ci sia più spazio per tutte le strutture che avevano gli antenati più grandi e alla fine se ne potrebbe anche perdere qualcuna. La diminuzione di taglia è, quindi, un processo molto meno esigente di quello dell’aumento di taglia.

C’è una correlazione tra forza, diffusione sulla superficie, suddivisione del lavoro e tutte le attività che riguardano le velocità dei processi come metabolismo, tempi di generazione, longevità, velocità di locomozione e persino abbondanza degli organismi in natura. Ciò che collega tutti questi fattori è la taglia.

Un cambiamento nelle dimensioni, quindi, richiederà o sarà correlato a un cambiamento nella forza, nell’area superficiale, nella suddivisione del lavoro e in tutti i processi collegati a tempo e velocità  e persino alla densità della distribuzione degli organismi in natura. Ciascuno di questi fattori correlati alla taglia è interdipendente dagli altri: se uno cambia, cambiano anche gli altri. Ecco perché “size matters”, ossia le dimensioni, in natura, contano.

Libro interessante, davvero. Ma noi sappiamo già molto bene quanto sia importante insistere sul perché le cellule sono piccole. Ma cosa significa veramente per i nostri ragazzi l’aggettivo “piccolo” quando si parla di cellule?

L’esperienza mi ha insegnato di non dare mai nulla per scontato e che quando si tratta di quantità molto grandi (per esempio miliardi di anni, o milioni di km) o molto piccole (per esempio nanometri, ångströmi ragazzi non riescono a  comprendere fino in fondo quanto grandi o piccoli siano in realtà questi numeri e ce lo dimostrano continuamente per esempio quando, parlando di fenomeni geologici, confondono con disinvoltura le centinaia di migliaia di anni con i milioni o i miliardi come se fossero la stessa cosa (in fondo si tratta sempre di un sacco di tempo, no?).

Già in altre occasioni ho usato piccole attività per far comprendere il reale significato di alcuni numeri (per esempio questa: ENGAGE-Ciclo dell’acqua) perché ritengo che sia molto importante far fare anche questo tipo di  esperienze, per cui mi sono messa a cercare in rete qualche idea che  mi aiutasse a far comprendere davvero ai miei ragazzi quanto è piccola una cellula.

Cercando cercando, ho trovato un bell’articolo di Gerald Rau, in cui viene proposta un’attività cbasata sull’osservazione di cellule di lievito. In pratica a ciascun gruppo di studenti viene dato un granellino di lievito disidratato e viene chiesto di provare a fare una stima del numero di cellule di lievito presenti in quel granellino e di calcolare il numero di cellule presenti in una bustina di lievito utilizzata per fare l’impasto di pizza.

L’attrezzatura richiesta è minima: microscopio ottico, vetrini e una confezione di lievito disidratato. In pratica i ragazzi dovranno fare tre cose:

  • una previsione sul numero di cellule di lievito presenti in un granulo di lievito secco;
  • determinare, attraverso il microscopio, lunghezza e larghezza del granulo in mm per determinarne il volume;
  • contare il numero di cellule di lievito in tre campioni casuali, osservati con il microscopio ad alto ingrandimento.

Per prima cosa, si farà osservare al microscopio la forma del granellino di lievito, ma, naturalmente, non riusciranno a vedere nessuna cellula. Quindi, si fa fare una previsione su quante cellule di lievito potrebbero essere presenti in quel granello e si annotare questa previsione sul quaderno (o sulla scheda di lavoro) in modo da poterla riesaminare successivamente.

È  bene spiegare che il lievito per la panificazione è  costituito da colture miste di lieviti, ossia funghi unicellulari, prevalentemente Saccharomyces cerevisiae.

Si può, quindi, guidare una discussione di classe per cercare di capire insieme come si potrebbe fare a determinare prima il numero di cellule di lievito presenti nel granello e poi il numero di cellule in un dato volume di lievito secco (quello contenuto nella bustina). Per aiutarli nel ragionamento si potrebbe realizzare il modello di un granello di lievito con un tubo di cartone da carta igienica, chiuso ad una estremità e riempito con una varietà piccola di fagioli, o qualcosa di simile, per rappresentare le cellule di lievito nel granulo. Grazie a questo modello i ragazzi riusciranno a capire meglio perché non hanno visto cellule al microscopio perché anche nel modello dall’esterno si può solo osservare la forma cilindrica del rotolo (il granello) ma non i singoli fagioli (ad eccezione per l’estremità aperta del rotolo). Spargendo i fagioli su un vassoio diventa possibile contarli, quindi si dovrà trovare un modo per fare lo stesso con le cellule di lievito (basterà mettere il granello a contatto con un po’ d’acqua). Sempre discutendo, si può chiedere ai ragazzi come poter fare a stimare il numero dei fagioli nel vassoio senza contarli uno ad uno e si arriverà a stabilire di contarli in un’area più piccola e poi fare le dovute proporzioni. Per dare un’idea si potrebbe mettere il coperchio di una capsula Petri ( o un coperchio di plastica trasparente) su un’area del vassoio identificando così l’area in cui poter contare i fagioli. È bene far presente che la scelta delle aree in cui contare i fagioli deve essere casuale ma che può capitare di doverne escludere alcune non rappresentative perché anomale (troppo affollate o con pochi fagioli).

È arrivato, quindi, il momento di metterli al lavoro al microscopio per prendere le “misure” del granello di lievito disidratato. Quindi, per poter contare le cellule di lievito,  si aggiunge una goccia d’acqua al granulo posto sul vetrino per reidratarlo. Dopo un minuto si “agita” il miscuglio con lo spigolo di un coprioggetto tenendolo con attenzione dalle estremità. Se venisse usato un altro sistema (per esempio una bacchetta) si potrebbero perdere molte cellule di lievito. Si deposita, quindi, il coprioggetto sul vetrino e si preme delicatamente con il gommino di una matita per spargere meglio le cellule di lievito facendo, però, molta attenzione, a non far fuoriuscire acqua. Se dovessero formarsi ammassi troppo grandi è sempre meglio preparare un nuovo vetrino. Quindi, si passa al conteggio delle cellule di lievito ad alto ingrandimento in almeno tre aree scelte a caso. A seconda della tecnica usata per contare, sarà poi necessario fare gli opportuni calcoli per stabilire il numero di tutte le cellule nel vetrino.

 

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A questo punto, però, cari amici ho assolutamente bisogno del vostro aiuto.

Devo confessarvi che dai tempi dell’università (ho paura a dire quanti anni sono passati!) non ho più fatto nessuna misurazione né conta di cellule con un microscopio. Documentandomi un po’ ho capito che se si compra un vetrino con reticolo non dovrebbe essere difficile ma chiedo aiuto a voi perché sono certa che saprete indicarmi un sistema semplice ed efficace per farlo. Avete mai fatto niente di simile? Se sì, come avete fatto? Potreste postare nei commenti (o scrivermi privatamente se preferite)  la tecnica che usate voi?

Infine, una volta fatte tutte le misurazioni e i conteggi, si avranno tutti i dati necessari per calcolare il numero di cellule di lievito contenute nella quantità usata per fare l’impasto della pizza (una bustina).

Tempi previsti

Per realizzare l’attività, secondo Rau, servono due periodi da 50 minuti: uno per raccogliere i dati e l’altro per rielaborarli e preparare la relazione. Per i calcoli, gli studenti avranno bisogno di sapere quanto lievito secco contiene la confezione (mediamente 7-10 g), che un cucchiaio da tavola (10 g di lievito) ne contiene un volume di circa 11 ml.

I calcoli sono la parte più complessa dell’attività ma bisognerebbe resistere alla tentazione di aiutare troppo. I ragazzi imparano molto di più quando comprendono il perché fanno certi calcoli piuttosto che quando si limitano semplicemente a seguire una procedura.

Durante la fase di discussione dei risultati ciascun gruppo dovrà riuscire a spiegare la procedura usata per il campionamento delle cellule di lievito, i dati raccolti e i calcoli eseguiti e mostrare di aver compreso veramente quanto è piccola una cellula (o quanto grande è il numero di cellule presenti nella bustina).

Dovranno anche riflettere sulle possibili fonti di errore che potrebbero aver commesso nelle misurazioni.

Io non vedo l’ora di provare. Che ne dite? Mi aiutate? Aspetto i vostri suggerimenti, mi raccomando!!! 🙂 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=PTGYLYru2Sw&w=560&h=315]

Riferimenti bibliografici:

  • Bonne, John Tyler. Why size matters – From Bacteria to Blue Whales. Princeton University Press (2006).
  • Rau, Gerald. How small is a cell? The science teacher, ottobre 2004, pag.38-41.

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