Quando nella mia prima lezione chiedo agli studenti: “Qual è la prima cosa che vi viene in mente quando sentite la parola chimica?”, le risposte si assomigliano sempre:

“inquinamento”, “tossico”, “pericolo”, “industriale”, “artificiale”, “sostanze nocive”.

Non è un caso. È l’immagine che circola nella società e che spesso viene rafforzata anche dal marketing: da una parte il “chimico” visto come qualcosa di artificiale e dannoso, dall’altra il “naturale” percepito come sicuro e buono.

Ma la realtà è ben diversa. Tutto è chimica: l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, il pane che mangiamo, perfino noi stessi. “Naturale” non significa sempre innocuo (pensiamo al veleno di una pianta), così come “chimico” non significa per forza pericoloso.

Noi insegnanti lo sappiamo bene: la chimica è molto di più. È la scienza che ci permette di capire com’è fatta la materia e come trasformarla in qualcosa di utile.

Ed è qui che entra in gioco la chimica verde: un punto di partenza potente per ribaltare l’immagine negativa della chimica e far scoprire agli studenti che questa scienza può offrire soluzioni concrete alle grandi sfide ambientali.

In altre parole: passare da “la chimica è il problema” a “la chimica può essere parte della soluzione”.

Da dove nasce la chimica verde

La chimica verde nasce negli Stati Uniti negli anni ’90. Paul Anastas, allora un giovane chimico dell’EPA (l’Agenzia per la Protezione Ambientale), si accorse che la maggior parte della ricerca era dedicata al “ripulire i danni”: bonificare acque contaminate, trattare rifiuti, contenere emissioni.

Ma quasi nessuno si chiedeva come progettare i processi in modo da non creare quei danni fin dall’inizio.

Da questa intuizione, sviluppata con John Warner, nacquero i 12 principi della chimica verde, una bussola per guidare chimici e industrie verso processi più sicuri, più efficienti e meno inquinanti.

Quello che all’inizio era un approccio tecnico-industriale è diventato un riferimento internazionale e oggi è anche un prezioso strumento educativo: ci permette di collegare la chimica che insegniamo in classe alle grandi sfide della sostenibilità.

I 12 principi della chimica verde con esempi utili per la didattica

Perché i principi della chimica verde non restino concetti astratti, è importante raccontarli con esempi vicini all’esperienza degli studenti. Ogni principio può essere spiegato sia attraverso applicazioni industriali, sia con situazioni quotidiane facilmente riconoscibili. Questo permette ai ragazzi di vedere la connessione tra ciò che studiano e ciò che vivono.

Prevenzione significa progettare processi che evitino di generare rifiuti, invece di pensare solo a come smaltirli. In un’azienda può voler dire ridurre i fanghi di scarto; in classe possiamo far riflettere gli studenti sull’uso della borraccia al posto delle bottigliette.

Economia atomica invita a sfruttare al massimo tutti gli atomi dei reagenti: ciò che entra in una reazione deve finire nel prodotto, non nel cestino. È il principio alla base di nuove sintesi farmaceutiche più efficienti. Per renderlo concreto, si può usare la metafora della cucina: una ricetta in cui nulla degli ingredienti viene sprecato.

Sintesi meno pericolose spinge a scegliere vie che riducano l’uso di sostanze tossiche. Nell’industria si sostituiscono solventi cancerogeni; a livello quotidiano, gli studenti possono collegarlo alle vernici a base d’acqua.

Progettare prodotti più sicuri significa che non basta un processo pulito: anche il prodotto finale deve essere meno tossico. Esempi sono i pesticidi biodegradabili o i detergenti con etichetta ecolabel.

Uso di solventi e ausiliari più sicuri ci ricorda che, quando solventi e additivi non si possono eliminare, vanno scelti i meno pericolosi. È ciò che avviene con l’impiego di acqua o etanolo in laboratorio, e con i comuni smacchiatori “ad acqua” che usiamo a casa.

Efficienza energetica porta a ridurre consumi ed emissioni. Nell’industria i catalizzatori rendono possibili reazioni a temperatura ambiente; nella vita quotidiana, i lavaggi a 30 °C ne sono un esempio chiaro.

Materie prime rinnovabili significa scegliere risorse che si rigenerano, come l’amido o la cellulosa per produrre bioplastiche. A scuola può essere utile citare la carta certificata FSC o PEFC, che gli studenti conoscono già.

Ridurre derivati vuol dire evitare passaggi intermedi inutili, che creano scarti e allungano i processi. È come fare una torta senza passaggi complicati che non servono. In chimica si traduce in sintesi più dirette.

Catalisi mostra come un catalizzatore renda una reazione più rapida ed efficiente. Si può parlare dell’organocatalisi, premiata con il Nobel nel 2021, oppure degli enzimi nei detersivi, che permettono lavaggi efficaci anche a basse temperature.

Progettare per la degradazione riguarda il fine vita dei prodotti: devono trasformarsi in sostanze innocue. È il caso dei polimeri compostabili o dei sacchetti biodegradabili che usiamo ogni giorno.

Analisi in tempo reale significa monitorare le reazioni mentre avvengono, per ridurre errori e sprechi. Nell’industria si usano sensori per rilevare subito emissioni tossiche; in aula si può fare il paragone con un termometro che evita di bruciare il cibo.

Sicurezza intrinseca chiede di progettare processi meno rischiosi fin dall’inizio. Per esempio, preferire sostanze meno volatili o reazioni a basse pressioni. Un’immagine vicina agli studenti: la candeggina diluita, molto più sicura di quella concentrata.

Tre storie di chimica verde

Il farmaco sostenibile
Per anni l’ibuprofene è stato prodotto con un processo lungo e inquinante: sei passaggi, reagenti pericolosi e tanti scarti da smaltire. All’inizio degli anni 2000, alcune aziende hanno ripensato la sintesi seguendo i principi della chimica verde. Il risultato? Un processo ridotto a tre passaggi, resa maggiore e rifiuti tagliati drasticamente. Un esempio perfetto di come sostenibilità e convenienza economica possano andare di pari passo.

La lavatrice green
Gli studenti si sorprendono sempre quando scoprono che la chimica verde è già dentro casa loro. Nei detersivi moderni, gli enzimi agiscono come catalizzatori naturali: permettono di lavare i panni in profondità anche a basse temperature. Così si consuma meno energia, si emette meno CO₂ e i vestiti restano puliti come prima. Un piccolo gesto quotidiano che diventa un grande impatto se moltiplicato per milioni di lavatrici.

Un Nobel che parla di futuro
Nel 2021 il Premio Nobel per la Chimica è andato a Benjamin List e David MacMillan per l’organocatalisi, una tecnica che usa molecole organiche semplici come catalizzatori. È un traguardo storico: reazioni più pulite, meno scarti, condizioni di lavoro più sicure. Parlare di questo Nobel in classe è un modo efficace per mostrare che la chimica verde non è solo teoria o buona volontà, ma il cuore della ricerca contemporanea.

Perché parlarne a scuola

Introdurre la chimica verde in classe non significa solo aggiungere un altro argomento ad una già fitta programmazione, ma significa cambiare il modo in cui gli studenti guardano a questa disciplina. La chimica, spesso percepita come astratta o lontana, diventa immediatamente concreta quando viene collegata ai problemi e alle scelte di tutti i giorni.

Parlarne significa innanzitutto collegare la chimica alla vita reale: non solo formule da imparare a memoria, ma domande che partono da ciò che i ragazzi conoscono — una bottiglietta d’acqua, un detersivo, un imballaggio. Ogni oggetto diventa occasione per chiedersi: “Come è stato prodotto? È sostenibile? Potrebbe esserlo di più?”.

Significa anche affrontare i temi dell’educazione civica e della sostenibilità, che ormai attraversano tutte le discipline. La chimica verde offre esempi perfetti per parlare di uso delle risorse, consumo energetico, responsabilità ambientale.

Un altro punto centrale è lo sviluppo del pensiero critico. Non esistono soluzioni perfette: una bioplastica può ridurre certi impatti ma averne altri; un prodotto biodegradabile funziona solo se smaltito nelle giuste condizioni. Mettere in evidenza i compromessi aiuta gli studenti a capire che la scienza lavora con scelte complesse, non con risposte semplici.

Infine, portare la chimica verde a scuola serve a mostrare la scienza come parte delle soluzioni. Troppo spesso gli studenti vedono la chimica come “il problema”, collegata solo a inquinamento e rischi. La chimica verde ribalta questa prospettiva: insegna che la chimica può essere strumento di innovazione, di responsabilità e di futuro.

Un’attività per portare la chimica verde in classe

Mi sono chiesta come portare la chimica verde in classe in modo che non sembrasse un elenco di principi da imparare, ma fosse un’occasione di esplorazione e di consapevolezza. Da questa riflessione è nato Chimica verde in azione!, un percorso inquiry-based strutturato con il learning cycle delle 5E.

Le 5 fasi del percorso

Engage
Si parte mostrando agli studenti due bottigliette, una in plastica tradizionale e una in bioplastica. Dopo un rapido confronto visivo, si introduce il contesto: in Italia si producono miliardi di bottigliette ogni anno; la plastica tradizionale costa poco ma inquina, le bioplastiche sembrano una soluzione ma hanno limiti di costi e smaltimento.

A questo punto arriva la domanda chiave: «Se la plastica tradizionale inquina e la bioplastica non è ancora la soluzione perfetta, come può la chimica aiutarci a progettare materiali davvero sostenibili?»

Gli studenti riflettono individualmente, poi discutono in coppia e infine condividono con la classe. Le idee raccolte vengono organizzate su una lavagna in tre categorie: Problemi – Criteri/Principi – Vincoli, che serviranno come base per l’attività successiva.

Explore – Scenari realistici da affrontare
Ogni  gruppo riceve uno scenario concreto (cosmetici, energia, detersivi, imballaggi), con dati e vincoli pratici. Usando una mappa semplificata dei principi della chimica verde, elaborano due soluzioni: una industriale (cosa può fare un’azienda) e una personale (cosa può fare il consumatore). Infine discutono vantaggi e limiti.

Explain – Condivisione e chiarimento
Ogni gruppo sintetizza il proprio lavoro in un pitch di 2 minuti e lo presenta alla classe. Il confronto consente di far emergere i principi più usati, valutare la solidità delle proposte e chiarire i concetti.

Elaborate – Applicare i principi alla vita quotidiana
Gli studenti lavorano su mini-casi vicini alla loro esperienza (cibo, acqua, vestiti, trasporti, imballaggi) e costruiscono insieme un “muro della sostenibilità” che raccoglie tutte le soluzioni trovate.

Evaluate – La riflessione personale
L’attività si chiude con una riflessione individuale: ogni studente scrive quale principio della chimica verde ha compreso meglio e quale azione concreta si sente pronto a cambiare subito nella sua vita. Questo momento consolida l’apprendimento e lascia una traccia personale da portare oltre la lezione.

Se ti interessa, su Eduki trovi l’attività completa, con una guida docente dettagliata e tutti i materiali pronti da stampare per gli studenti, così puoi portarla in classe senza dover preparare nulla.

Conclusione

La chimica verde è nata come risposta tecnica all’impatto ambientale dell’industria, ma in classe diventa molto di più: un’occasione per cambiare lo sguardo degli studenti. Non una chimica da temere, ma una chimica che può diventare parte della soluzione, capace di progettare innovazioni sostenibili e di contribuire concretamente alle sfide del nostro tempo.

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